|
SENZA
MEMORIA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
La
solitudine è una brutta bestia. Ti
sembra di essere padrone del mondo e di
non avere bisogno di nessuno accanto,
invece quando sei solo sei meno di
niente.
Se sostengo questa tesi è
perché l'ho provata la solitudine. Mi
è stata compagna per gran parte
dell'adolescenza, un periodo della mia
vita che ho vissuto in maniera
selvatica, lontano dalla gente,
asservito a una condizione di
sopravvivenza anomala per un ragazzo di
quell'età.
Sono un tipo introverso,
ombroso, incapace di stare in mezzo alla
gente. Ho venticinque anni e non ambisco
a niente. Un dottorato di ricerca, della
durata di cinque anni, mi assicura il
denaro necessario per mantenermi. Sono
privo di aspettative dalla vita. Il
futuro mi fa cagare e non credo di
essere il solo a pensarla così
oggigiorno.
Da quando la mia storia con
Ombretta si è interrotta, cosa che è
accaduta per sua volontà, mi sono
chiuso in me stesso. Invece quello di
cui avrei bisogno è di una donna che
sappia ascoltarmi, abbia voglia di
coccolarmi, accarezzarmi e soprattutto
amarmi. Ombretta non era niente di tutto
questo. A lei piaceva soltanto scoparmi,
quello e basta.
La solitudine fa schifo. A
volte mi verrebbe voglia di cancellarla
in modo definitivo dalla memoria. Dopo
che mi ha lasciato mi sono
addentrato in un tunnel, buio, di cui non
riesco a distinguere la fine. Quando
sono solo faccio di tutto per
crogiolarmi nella malinconia e piangermi
addosso, così mi sto allontanando
sempre più dalla gente.
Di recente, sulle pagine
del Corriere della Sera, ho letto che
una equipe di ricercatori olandesi sta
sperimentando un farmaco in grado di
cancellare dalla memoria gli eventi
dolorosi, ingabbiati nella mente,
facendo in modo che non si riattivino più.
Se i medici mi
somministrassero una dose, seppure
piccola di questo farmaco, sono certo
che correrei il rischio di rimanere
privo di memoria. Se sostengo questo è
perché sono certo che i due emisferi
del mio cervello custodiscono tanti cattivi ricordi. E un uomo senza memoria
non sarebbe niente, soltanto un
vegetale.
Rimuovere dalla mente i
cattivi ricordi non è come togliersi
un'unghia dal piede quando è incarnita,
e non cresce dritta perché si incurva
penetrando nella pelle ai lati del dito.
Cancellare il passato, seppure doloroso,
potrebbe cambiare in modo definitivo il
mio carattere. Purtroppo correrei il rischio
di cancellare anche le poche cose belle
che ho nella memoria e non voglio che
accada. Invece vorrei che
gli scienziati mettessero a punto un
farmaco capace di togliermi la
malinconia, questo sì.
Ombretta seguitava a
ripetermi che sono un fallito. Diceva
che non so vivere la realtà delle cose
perché a venticinque anni rincorro
ancora dei sogni. Sosteneva che dovrei
smetterla di leggere libri e guardare
meno film melò alla tivù. Forse ha ragione lei.
Se fossi chiamato a fare un
bilancio della mia vita farei fatica a
trovarci dei lati positivi.
Probabilmente tutto
questo mio pessimismo è soltanto frutto
di una solitudine interiore. Ho poca
autostima, cosa che mi penalizza nei
rapporti con le altre persone, invece
dovrei osare di più e accettarmi per
quello che sono. Ecco qual è la verità.
Prima di incontrare
Ombretta, circa un anno fa, non avevo
mai intrapreso una vera relazione
amorosa. Le donne le avevo sempre
evitate, temute, e a volte persino
rifiutate. Ombretta invece l'ho
desiderata da subito.
Ombretta ha quarantadue
anni: diciassette più dei miei
venticinque anni. E' una donna di una
bellezza sconvolgente, moderna, di mezza
età, e con un corpo da ragazza. Ci
siamo conosciuti in un bookcafè situato in
pieno centro cittadino, a pochi passi
dal Teatro Regio. E' stata lei a
cercarmi, io non avrei mai osato farlo.
Stava seduta a un
tavolo, intenta a consumare un caffè,
ed era sola come me. Seduto a un tavolo
vicino al suo ero intento a leggere le
pagine di Libération, curioso di sapere
cosa sostenevano i quotidiani
transalpini a proposito della vendita
dell'Alitalia al gruppo Air Francia-Ktlm,
e dell'offerta francese giudicata troppo
debole dal governo italiano. Percepii la
sua presenza perché oltre a essere
bella insisteva a guardarmi con una
certa sfrontatezza.
In quel piovigginoso sabato
mattina ero finito al bookcafé, uno dei
pochi posti in città dove è possibile
reperire riviste e giornali stranieri,
indispensabili per il mio lavoro di
assistente universitario, intenzionato a
trattenermi nel locale soltanto il tempo
necessario per consumare l'aperitivo e
leggere qualche notizia sul giornale
francese, dopodiché sarei uscito da lì.
Ombretta, per tutto il
tempo in cui occupai uno dei tavoli
della caffetteria, non smise di levarmi
gli occhi di dosso, sorridendomi di
continuo, senza spiaccicare una parola o
un gesto che potesse rivelarmi le sue
reali intenzioni.
Lì per lì non pensai a
lei come a una puttana. Era
troppo elegante e distinta per esserla.
Ma una volta fuori dalla caffetteria mi
resi conto che mi seguiva dappresso come
una cagna in calore, una che annusa il
maschio da cui vuole farsi montare.
Allora mi venne spontaneo supporre che
fosse sua intenzione adescarmi.
Essere preda ambita di una
puttana bella come lei, perché era così
che la giudicai, mi turbò parecchio.
Prima di conoscere Ombretta non avevo
mai intrapreso relazione amorose serie.
Ma era pur vero che scopavo regolarmente
con le puttane. Ho sempre avuto una
predilezione per le slave, specie se
giovani, ma anche di seghe me ne facevo
spesso, specie se mi capitava di
guardare film porno sui diversi canali
satellitari.
Di bell'aspetto, pelle
ambrata, capelli corti a caschetto, neri
come la pece, dava l'impressione di
essere alta più del normale. Merito dei
tacchi da 12, simili a stalattiti, che
calzava ai piedi. Indossava un elegante
tailleur rosa, a due pezzi, e una
camicia di seta bianca, con chiffon, che
le conferivano una sobria eleganza. Il
classico tipo di donna capace di
attirare su di sé l'attenzione di
uomini e donne.
Non sapevo se il suo
venirmi appresso fosse soltanto una
coincidenza oppure se era sua intenzione
adescarmi. Arrestai il passo dinanzi un negozio di scarpe da uomo. Finsi di
guardare la merce esposta in vetrina e
rimasi in attesa che superasse la mia
persona.
Quando transitò alle mie
spalle scorsi il suo volto riflesso sul
vetro della vetrina. I nostri occhi si
incrociarono come era accaduto in
precedenza mentre eravamo seduti ai
tavoli della caffetteria. Invece di
proseguire, spedita nel suo passo, mi
affiancò. Si mise a guardare pure lei
le scarpe esposte nella vetrina e rimase
in silenzio. Dal riflesso del vetro le
sorrisi. Lei fece lo stesso
scimmiottando il mio gesto.
- Qual è il tuo prezzo per
scopare con me? - dissi senza fare
ricorso a troppi
preamboli.
- Prego?
- Fai tutto? Anche i
pompini?
- Beh, sì, che c'è di
strano? - rispose senza dare
l'impressione di essere sorpresa dalla
mia domanda.
- Anche nel culo lo prendi?
- Dipende... - disse
facendo luccicare lo smalto dei
trentadue denti in un ampio sorriso.
- Non mi hai ancora detto
qual è la tua tariffa?
- Ne parliamo dopo se ti
va.
- No, parliamone subito,
non voglio spendere più di 100 euro,
sia chiaro eh!
- 300 euro è quello che
vengo a costare agli uomini che
desiderano trascorrere un'ora con me.
- Ma chi ti credi di
essere, Kim Bassinger? Quello che ti
posso offrire sono 100 euro e stiamo
insieme mezz'ora, altrimenti non se ne
fa niente.
- Okay, va bene, andiamo a
casa mia. Ho un appartamento nella
strada che sta dietro il Teatro Regio,
ci mettiamo poco tempo per raggiungerlo.
Se ti va segui me.
- Ti seguo, ma preferirei
rimanere distante qualche passo da te,
ti spiace?
- No, se ti va di fare così.
- Va bene, dai, andiamo, ho
già il cazzo duro.
La seguii dappresso
trattenendomi a un paio di passi di
distanza per non farmi scorgere in sua
compagnia dalle persone che avrei potuto
incrociare mentre mi accingevo a recarmi
alla sua abitazione. Dopo una manciata
di minuti si fermò dinanzi a un
edificio in stile liberty. Era a due
piani e piuttosto signorile. La cosa mi
sorprese perché mi ero fatto l'idea che
saremmo andati a scopare in uno di quei
tuguri che si trovano alle spalle del
Teatro Regio, vicino a Piazza della
Ghiaia. Dalla borsetta tolse un mazzo di
chiavi e aprì il portone, dopodiché mi
fece cenno di seguirla.
Le andai dietro fino a un
ampio cavedio circondato da un loggiato
con al centro una fontana e delle piante
fiorite. Mettemmo piede nell'abitacolo
di un ascensore che ci condusse al
secondo e ultimo piano dell'edificio.
Stavolta non ebbe bisogno di levare la
chiave dalla borsetta. La casa era
un'unica abitazione e la cosa mi
sorprese. Solo allora capii che non era
la dimora di una puttana quella che
stavo visitando.
- Non mi hai detto qual è
il tuo nome. Il mio è Lorenzo. - dissi
quando mi fece accomodare in una
lussuosa stanza da letto.
Le pareti della camera,
tappezzate con una stoffa di seta
damascata di colore rosso e un découpage
floreale, abbondavano di specchi. Ce
n'era persino uno ampio, di forma
circolare, appiccicato al soffitto, che
rifletteva le lenzuola di seta nera che
arredavano il letto. Una cosa da fare
girare la testa.
Scioccato dall'arredo della
camera, incapace di spiaccicare una sola
parola, rimasi in silenzio. Ma ci pensò
lei a trarmi d'impaccio.
- Il mio nome è Ombretta.
Ti piace?
Il nome che pronunciò era
identico a quello di mia madre deceduta
quando avevo dieci anni. Non poteva
essere una coincidenza, perlomeno questo
è ciò che pensai quando, senza perdere
altro tempo, pretese di spogliarmi.
Mi liberò dei pantaloni e
di tutto quello che avevo sulla pelle.
Lei invece non si denudò del tutto.
Rimase con addosso il reggiseno di pizzo
rosa e un paio di coulotte del medesimo
colore. Avrei preferito che indossasse
un perizoma per godere delle forme delle
natiche.
Il suo corpo era stupendo,
proprio come me l'ero immaginato mentre
camminavamo per strada prima di arrivare
lì.
Si inginocchiò ai miei
piedi, afferrò l'uccello e fece
scorrere il palmo della mano avanti e
indietro dalla cappella alla radice
prima di accompagnarlo fra le labbra.
Ero in piedi davanti a lei
e tremavo come una foglia per il piacere
che riusciva a trasmettermi a ogni
affondo della cappella in gola.
Dopo un po' che succhiava
volle che mi inginocchiassi anch'io. Ci
ritrovammo uno di fronte all'altra a
guardarci negli occhi. Allora slacciò
il gancio del reggiseno e fece cadere il
tessuto di pizzo in avanti mostrandomi
la bellezza giunonica del petto. Stese
le mani sul mio capo e io affondai la
bocca nel solco burroso delle tette che
mostrava con grande orgoglio.
Cominciai a succhiare i
capezzoli, passando con la bocca da uno
all'altro, e non mi staccai più da lì.
Non so per quanto tempo seguitai a
tettare mentre mi accarezzava il capo;
di sicuro ci rimasi molto a lungo.
Scopammo fino allo
sfinimento. A mezzogiorno mi invitò a
rimanere a pranzo e io accettai. Nel
pomeriggio, dopo esserci rifocillati,
riprendemmo a fare del sesso insaziabili
una dell'altro.
Ombretta non ha mai voluto
rivelarmi la ragione che l'aveva spinta
ad abbordarmi in quel modo sfacciato.
Forse non sono stato il primo uomo a
farle da zerbino e nemmeno sarò
l'ultimo probabilmente. Quello che è
certo è che insieme a lei ho trascorso
i mesi più felici della mia vita.
Dopo quell'episodio i
nostri incontri si fecero sempre più
frequenti. Scopavamo a casa sua, ma
accadeva solo quanto ne aveva voglia e
decideva di vedermi. Ho accettato quelle
condizioni perché era l'unico modo che
avevo per godere della sua compagnia, ma
soprattutto del suo corpo. Il giorno che
ho provato a mettere in discussione il
nostro rapporto, parlandole di un
progetto di vita insieme, ha posto fine
al nostro rapporto e ancora oggi non so
farmene una ragione.
Più volte ho minacciato di
uccidermi, ma lei si è sempre rifiuta
d'incontrarmi. Quello che è certo è
che non so stare senza di lei.
Ho ripreso a scopare con le
puttane, ma ho smesso di farlo perché
non mi si rizzava l'uccello. Eppure un
tempo mi eccitavo moltissimo facendo del
sesso con tutte loro.
Sono disperato. Ho persino
pensato al suicidio. Non so perché sto
a dire queste cose, probabilmente non
servirà per fare tornare Ombretta da
me, ma se scrivo queste poche righe è
segno che sono ancora vivo perché
nessuno può scrivere della propria
morte.
|
|
|