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SCORZA
AMARA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Bruno
"al sord" era il
gestore dell'osteria ubicata in Borgo
Sorgo. L'appellativo gli era stato attribuito
dai clienti per la sua palese
sordità. La cosa non l'aveva,
affatto, infastidito, anzi aveva
accettato di buon grado che la gente si
rivolgesse a lui con quel nome.
L'osteria si trovava nel
quartiere dell'Oltretorrente, sulla riva
sinistra del torrente, storicamente la
parte della città più povera. La
stessa che noi studenti, nel 1968,
indicavamo come "rive gauche".
L'avevamo battezzata in
quel modo prendendo spunto dalla
condotta degli studenti parigini che,
all'epoca del Maggio Francese, avevano
occupato l'università della Sorbona e
innalzato barricate nel quartiere latino
alla sinistra della Senna.
Ormai sono trascorsi
cinquant'anni da quegli avvenimenti e
l'Osteria del Sordo, a pianterreno di
Borgo Sorgo, non esiste più. Il
fabbricato che l'ospitava, ristrutturato
di recente, ha fatto posto alle porte
basculanti di sei autorimesse. Anche il
cinema teatro Ducale, le cui mura
confinavano con l'osteria, non esiste più.
E' stato demolito, al pari degli altri
cinematografi che popolavano il centro
della città.
L’Osteria del Sordo è
stata una delle ultime osterie storiche a
chiudere i battenti nell'Oltretorrente.
Tutte le altre, nel frattempo, si erano
riconvertite in bar, caffetterie e
ristoranti, ma la maggior parte aveva
spento le luci per non riaccenderle mai
più.
Bruno era un "parmigiano
del sasso". Gli piaceva
raccontare di essere nato in Borgo dei
Minelli. Raramente mi era capitato di
udirlo pronunciare parole in italiano.
Quando si rivolgeva ai clienti lo faceva
servendosi esclusivamente del dialetto
parmigiano.
Il ricordo che ho di Bruno
è di un uomo basso di statura, con la
coppola appiccicata al capo, a coprire
la calvizie, gli occhiali da vista
calati sul naso, e sempre con indosso un
camice nero che gli giungeva fino sotto
le ginocchia.
L'osteria di Bruno era una
sorta di paradiso terrestre per la gente
dell'Oltretorrente. Fra le mura di quel
miserevole posto, completamente fuori
dal tempo, uomini e donne si tenevano
compagnia. Lo facevano giocando alle
carte, prendendosi gioco l'uno
dell'altro per burla, cantando e bevendo
più di una fojetta di lambrusco, oppure
scaldandosi intorno alla stufa a legna,
di quelle rosse in terracotta, confinata
al centro del locale a ridosso di una
parete.
L'Osteria del Sordo per noi
liceali era un mito. Nei lunghi
pomeriggi consumati intorno ai tavoli
dell'osteria, a rifocillarci con
ciccioli e pesto di cavallo, bevendo
lambrusco, ci lanciavamo in appassionate
discussioni, soprattutto di politica,
ignorati dagli anziani clienti che già
dalle prime ore del mattino scaldavano
le sedie dell'osteria.
Da Bruno si gustava solo un
tipo di vino: la Scorza Amara. Il
lambrusco ci era servito dentro tazze di
terracotta, bianche, dal bordo spesso.
L'acqua, invece, era bandita dalla
tavola. All'epoca nessuna di noi ragazze osò mai
mendicarla per non subire un rifiuto, ma
Bruno me l'avrebbe servita se solo
gliela avessi chiesta, ne sono sicura.
Quando, dopo avere bevuto e
mangiato, reclamavamo il conto Bruno si
affrettava a togliere dalla tasca un
gessetto bianco e sulla superficie del
tavolo, utilizzata come lavagna oppure foglio di carta,
faceva la somma del denaro che dovevamo
consegnargli.
Seppure parzialmente sordo,
Bruno prestava orecchio a tutto quello
che succedeva nell'osteria stando
comodamente seduto su di una sedia
impagliata, accanto alla stufa,
apparentemente distratto e con un gatto
soriano accovacciato sopra le ginocchia.
In più di una occasione l'avevo visto
togliere dalle tasche del grembiule una
polpetta e offrirla al felino. Le stesse
polpette, si sussurrava fra noi
studenti, che era solito vendere ai
clienti quando serviva il vino ai
tavoli. E' questa la ragione per cui mi
sono sempre rifiutata di assaggiarne una
di quelle polpette abbrunite. Ma fra gli
studenti c'era anche chi reputava
quell'osteria un locale per ubriaconi e
sfaccendati. Forse era vero, non lo so,
ma in quel posto, in mezzo a gente di
chiaro stampo popolare, con le pareti
effigiate dagli affreschi di Walter
Madoi, ci stavo da dio.
Nell'osteria c'ero capitata
la prima volta per caso, rimorchiata da
un gruppo di studenti liceali e
universitari di un
collettivo studentesco. Un gruppo che
amava definirsi rivoluzionario, ma che
di sovversivo aveva soltanto il nome:
quello di Che Guevara.
La maggioranza di quegli
studenti proveniva da famiglie borghesi,
mentre i clienti dell'osteria erano
persone con poche
lire in tasca che si arrabattava ad
arrivare a fine mese.
Chi sostiene che in
quell'osteria non potessero sbocciare
profonde amicizie sbaglia di grosso
perché è in quel posto che ho fatto
conoscenza con il mio primo amore.
Fabrizio era il più
appetibile fra gli studenti del
collettivo studentesco di cui facevo
parte. Non era granché bello, anzi,
tutt'altro, ma era un tipo speciale. Ne
ero rimasta conquistata dal primo
istante che avevo incrociato il
suo sguardo. Fui sedotta dalla barba
incolta, i capelli lunghi e ricci a
cadere sulle spalle, e dal modo di
vestire sempre uguale: Jeans, maglione a
girocollo, eskimo e Clarks ai piedi.
Un tipo di abbigliamento
che agli occhi di una ragazza di
famiglia borghese come la sottoscritta pareva
originale, ma che nei mesi successivi si
convertì in una divisa per molti dei
miei coetanei.
Frequentando il collettivo
studentesco mi presi una cotta pazzesca
per lui. Prima di conoscerlo facevo
coppia fissa con Marco, un tipo smilzo,
con qualche foruncolo di troppo sulle
guance, con cui mi ero limitata a fare
del petting e nient'altro, nemmeno gli
avevo mai preso in mano l'uccello.
Fabrizio invece mi fece sua dopo il
primo bacio, anche perché, in più di
una occasione, nella solitudine del mio
letto, avevo stretto forte il guanciale
al petto immaginando di congiungermi a
lui.
Mi piaceva bere la Scorza
Amara, un vino allegro, dalla schiuma
rossa, che sorseggiavo servito nelle
tazze di terracotta. Un vino che mi
scendeva giù veloce nello stomaco, con
le bollicine che mi gorgogliavano nel
palato prima di prendere la via
dell'esofago e raggiungere lo stomaco.
Un pomeriggio che eravamo
seduti intorno a un tavolo dell'osteria,
e avevo bevuto più del normale, stavo
giocherellando con la tazza, passando le
dita attorno il bordo di terracotta,
quando Fabrizio si rivolse a me.
- Lo sai che hai degli
splendidi baffi?
- Eh? - dissi piuttosto
sorpresa.
- Sto parlando dei baffi di
vino che hai disegnati sopra il labbro.
- disse sfiorandomi con le dita il
margine superiore della bocca.
- Davvero li ho?
- La Scorza Amara che Bruno
serve ai clienti lascia delle macchie
nere sulla pelle, non te ne sei mai
accorta?
- No.
- Beh, io te l'ho detto,
poi fai quello che vuoi.
Risentita mi alzai dalla
panca e raggiunsi il gabinetto per
guardarmi allo specchio.
Non mi accorsi della
presenza di Fabrizio alle mie spalle
fintanto che avvertii un paio di braccia
cingermi i fianchi. Impaurita mi girai
per gridare. Invece davanti a me c'era
lui. Ci guardammo dritti negli occhi,
dopodiché le sue labbra si posarono
sulle mie. La sua lingua mi attraversò
le labbra e incominciò a frugarmi nella
bocca come una trivella.
Sorpresa, ma non troppo,
non mi ribellai. Contraccambiai il suo
abbraccio gettandogli le braccia attorno
al collo. Lui chiuse la porta del
gabinetto alle nostre spalle. Lasciò
cadere le mani sulle tette mentre
sentivo il petto esplodermi per
l'emozione.
Una vampata di calore,
complice lo scompiglio ormonale, mi fece
trasalire e cominciai a gemere di
piacere. D'improvviso mi trovai con la
fica in liquefazione e una gran voglia
di scopare. Ero casta, ma era giunto il
momento che la perdessi la mia verginità.
Lasciai che le sue mani
risalissero le cosce sotto la gonna kilt
ed entrassero a contatto con il tessuto
delle mutandine. Non ricordo di preciso
cosa accadde in seguito, quello che so
è che mi ritrovai con Fabrizio che mi
montava stando in piedi e io curva su di
lui, con la schiena appoggiata al muro
con le cosce e caviglie avvinghiate
attorno alla sua vita.
Con Fabrizio feci coppia
fissa per qualche mese. La nostra storia
finì da un giorno all'altro così come
era cominciata. In quei giorni di grande
sconvolgimento sociale e liberazione
sessuale, facevamo l'amore ogni giorno e
più volte di seguito. Ancora non so
spiegarmi come feci a non rimanere
incinta, perché non usavamo molte
precauzioni ignoranti come eravamo in
materia di sesso e contraccezione.
Spesso marinavamo la scuola
e ci davamo appuntamento da Bruno, dove
ad attenderci c'erano i compagni del
collettivo studentesco. Ma con
l'approssimarsi dell'estate e la
necessità di prepararmi all'esame di
maturità fui costretta a diradare le uscite
di casa, motivo che spinse
Fabrizio a cercarsi qualche altra
ragazza con cui scopare.
Superato l'esame di maturità,
finita la storia con Fabrizio, riuscii a
ottenere una borsa di studio grazie a
mio padre e alle sue influenti amicizie.
Mi trasferii in un college a Boston,
negli Stati Uniti, dove iniziai gli
studi all'università. Conseguita la
laurea rimasi a lavorare nel medesimo
ateneo come ricercatrice. A Parma feci
ritorno soltanto saltuariamente.
Fabrizio intraprese gli
studi alla facoltà di giurisprudenza,
ma li interruppe dopo un solo anno di
frequentazione per iscriversi alla
facoltà di Economia e Commercio. Una
volta laureato entrò a lavorare in
banca, pure lui, come suo padre e come
molti altri nostri compagni di liceo. Di
recente ho saputo che è diventato
nonno. Io al contrario sono rimasta
single, ma ho avuto una vita intensa,
costellata di tanti amori, e ancora oggi
sono pronta a innamorarmi, specie da
quando, un paio di anni fa, sono tornata
a vivere a Parma.
Durante le giornate
trascorse a bere lambrusco e discutere
di politica, seduti intorno ai tavoli de
"l'Osteria del Sordo", tutti
noi recitavamo una parte: quella dei
proletari e degli studenti
anticonformisti, ma da spartire con la
gente del popolo che frequentava
quell'osteria non avevamo niente. Loro sì
che erano veri, noi invece eravamo
qualcos'altro.
Calota, (lo spazzino del
borgo), Al Schiss, (noto cacciatore di
gatti), Bonierba, (ortolano ambulante),
Morén, Patan, Temi la luce, Bujètta,
Meliga, Cambra d'aria, Zbraghén, Santé,
Al mull, Camilla, Firmina, Maniciòn,
sono tutti personaggi di un mondo a
parte. Noi studenti non avremmo mai
potuto essere come tutti loro, anche se
ci atteggiavamo a esserlo bevendo nelle
medesime tazze di terracotta la Scorza
Amara.
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