Accompagnata
dalla figlia Elena si era presentata
all'accettazione del Pronto Soccorso. Un
lancinante dolore al torace, associato a
una insistente difficoltà del respiro,
l'aveva convinta, suo malgrado, a
ricorrere alle cure dei sanitari.
Le radiografie al torace
avevano evidenziato l'infrazione a
due coste. Scartata l'eventualità di un
pneumotorace il medico del Pronto
Soccorso aveva ritenuto necessario trattenerla in osservazione almeno per
ventiquattrore nel reparto di Medicina
D'urgenza, dopodiché se non fossero
sorte complicanze l'avrebbe dimessa.
Il dolore provocato dalle
fratture costali l'avevano tenuta
sveglia per tutta la notte, solo verso
l'alba era riuscita a addormentarsi. Il
breve periodo di riposo e gli effetti
antalgici di un sedativo, praticatole
per via intramuscolare, erano serviti a
tranquillizzarla. A mezzogiorno era
stata di nuovo visitata da un medico
che, dopo averle consegnato la lettera
di dimissioni, le aveva raccomandato un
periodo di riposo. Aiutata dalla figlia,
Raffaella, che per tutta la notte
l'aveva vegliata, lasciò l'ospedale.
Raffaella era una
quattordicenne di carattere introverso che sapeva sbrogliarsela
da sola in qualsiasi
situazione. Perlomeno questa era
l'opinione che si era fatta Elena della figlia,
perlomeno prima che le sue certezze
crollassero di fronte agli inquietanti
accadimenti che le avevano guastato la vita.
La ragazza vantava degli
ottimi voti scolastici, infatti, era la
prima della sua classe. La passione per la
letteratura riempiva le sue giornate, in
particolare prediligeva leggere le opere
dei romanzieri francesi dell'ottocento.
Stendhal, Flaubert, Zola erano i suoi
autori preferiti.
Diversamente dalle
coetanee, abituate a trascorrere i
pomeriggi al bar o per la strada a fare
le smorfiose con i maschi, consumava il
tempo libero fra le mura domestiche
impegnata a studiare; raramente la si
vedeva in compagnia con i maschi.
Elena si era sposata all'età
di sedici anni. Aveva conosciuto il
marito nella piazzetta del paese dove
tutti i pomeriggi era solita ritrovarsi
con le amiche. Quattro mesi dopo il
matrimonio riparatore aveva partorito
una bellissima bambina a cui in comune
accordo con il
marito avevano messo il nome di
Raffaella, come la Carrà. Probabilmente
se fosse nato un maschio lo avrebbero
chiamato Diego, come il bomber del
Napoli Maradona.
Il matrimonio si era
rivelato un fallimento. Dopo un solo
anno di coabitazione il marito era
scomparso. In paese si era sussurrato
che fosse fuggito in Germania per
rifarsi una nuova vita, ma la sua
scomparsa era stata un gran mistero
per tutti meno che per lei.
La sparizione del marito
l'aveva fatta precipitare nella miseria
più nera. Sfiduciata aveva persino
considerato l'idea di prostituirsi per
procurarsi il denaro di cui aveva
necessità per vivere. Bella non la era
granché. Il corpo, sottile e
malnutrito, difficilmente avrebbe
attirato su di sé le voglie dei maschi
del paese. Ciò che l'aveva trattenuta
dall'intraprendere la strada della
prostituzione era l'umanità che si
portava dentro. Un bene prezioso che da
sempre aveva caratterizzato la sua vita.
Senza marito e abbandonata
dai parenti era sopravvissuta grazie
all'aiuto di alcune donne del paese che,
impietosite dallo stato d'indigenza, le
avevano procurato una occupazione come
domestica a ore. Grazie a quel misero
reddito era riuscita a crescere la figlia, poi aveva conosciuto
Vincenzo con cui aveva intrapreso una
relazione.
L'uomo, molto più anziano
di lei, di mestiere faceva il bracciante
agricolo. Prestava l'opera delle sue
braccia, unica sua ricchezza, a chi gliene
faceva richiesta. Elena si era messa
insieme a Vincenzo per disperazione, e
non certo per amore, dando inizio a un nuovo
corso della propria esistenza.
Il nuovo compagno, a differenza del
marito di cui in paese non si era più
avuto sentore, era un grande lavoratore,
ma apparteneva alla specie di uomini a
cui piace trattenersi all'osteria e
bere qualche bicchiere di troppo.
Quando Elena era andata a
convivere con Vincenzo lui per
riconoscenza le aveva acquistato la tivù
a colori e persino la lavatrice,
inoltre, dopo avere firmato un grande
numero cambiali, si era comprato una
Fiat Ritmo di seconda mano al posto del
motofurgone Ape che era solito
utilizzare per i suoi spostamenti.
Nei giorni di festa lei e
Vincenzo avevano preso l'abitudine di
recarsi al mare, distante solo una
trentina di chilometri dalla loro casa.
Sennonché da un giorno all'altro il
lavoro bracciantile era venuto a meno, e
Vincenzo si era trovato ad essere disoccupato.
Allora, di comune accordo, avevano
abbandonato il paese per
migrare al nord.
Elena aveva trovato
una occupazione come operaia in una
fabbrica che produceva bicchieri di
vetro. Un lavoro, quello della catena di
montaggio, infame che però le aveva
permesso di guadagnare più denaro di
Vincenzo che aveva trovato lavoro come
manovale in una cooperativa edile.
Elena non aveva faticato
granché a integrarsi nella realtà
metropolitana, al contrario di Vincenzo
che aveva ripreso a bere e la sera
faceva ritorno a casa ubriaco.
Con il trascorrere del
tempo il loro rapporto era andato via
via deteriorandosi. In preda ai fumi
dell'alcol Vincenzo non perdeva
occasione per accusarla di tradirlo,
picchiandola e obbligandola a fare
l'amore con la forza, violentandola
sempre più spesso. Se Elena cercava di
opporsi, offrendogli resistenza, lui la
riempiva di botte. Sembrava averci preso
gusto a picchiarla, forse anche più del
bere.
Elena era soddisfatta del
lavoro in fabbrica. Cresciuta in un
piccolo paese del meridione venendo in città
era entrata a contatto con una realtà
completamente diversa, rimanendo
sorpresa dalle confidenze che si
scambiavano le compagne di lavoro,
soprattutto quando parlavano delle loro
vicende sentimentali. Si era stupita non
poco nell'ascoltare le loro confessioni.
Le compagne di lavoro
parlavano liberamente di contraccezione,
amanti, e abitudini sessuali.
Soprattutto Rita, una ragazza d'origine
sarda, addetta all'imballaggio del
vetro, che non mancava di scandalizzarla
con le sue rivelazioni
- Godo come una troia
quando gli uomini mi maltrattano e mi
scopano usandomi violenza. A volte sono
io stessa che li supplico di
sculacciarmi, di legarmi e sottopormi a
sevizie d'ogni tipo. Ormai mi eccito
soltanto quando vengo picchiata con
brutalità.
Queste e altre confessioni
l'avevano confusa. Non riusciva a
capacitarsi che molte delle compagne di
lavoro riuscissero a godere delle
angherie e sopraffazioni cui le
sottoponevano i loro uomini. Lei invece
delle botte di Vincenzo ne avrebbe fatto
volentieri a meno.
Quando Vincenzo tardava a
tornare a casa andava a cercarlo in
giro per le osterie o nei bar dove era
solito trattenersi a bere. Il più delle
volte lo trovava ubriaco, allora lo
riaccompagnava a casa rischiando di
essere presa a botte per la strada.
L'unico scopo della sua
vita era Raffaella. A lei dedicava ogni
attenzione. Era pronta a fare qualsiasi
sacrificio per la figlia, anche ad
ammazzare Vincenzo. Questo aveva progettato durante la notte
trascorsa in ospedale.
Fuori dal Pronto Soccorso
lei e Raffaella si fermarono dinanzi
alla pensilina degli autobus. Dopo pochi
istanti sopraggiunse un mezzo pubblico.
A fatica, aiutata dalla figlia, salì i
gradini del bus. Andò a sedersi su uno
dei seggiolini riflettendo su come
avrebbe ucciso Vincenzo.
Nell'ultimo mese era la
terza volta che ricorreva alle cure dei
sanitari del Pronto Soccorso. Ogni volta
aveva dichiarato d'essere inciampata
nelle scale rovinando a terra, anziché
confessare di essere stata percossa con
pugni e calci. Ma se al primo ricovero
la versione raccontata al personale
medico era plausibile, il ripetersi
degli stessi episodi l'avevano messa in
imbarazzo.
L'autobus attraversò la
città percorrendo la Via Emilia.
Il traffico a quell'ora del pomeriggio
era intenso. Occorsero all'incirca venti
minuti per raggiungere la loro
abitazione. L'appartamento dove
abitavano era situato al terzo piano di
un edificio privo d'ascensore.
All'inizio della sua
relazione con Vincenzo la presenza di
Raffaella dentro casa non aveva creato
problemi di nessun tipo. L'uomo
l'aveva accettata come una figlia, accudendola di un amore paterno,
trascorrendo molto insieme a lei. Quando era piccola più
di una volta le aveva fatto il bagno.
Soltanto quando la ragazza aveva
raggiunto l'età della pubertà aveva
interrotto questa abitudine.
Raffaella si era sviluppata
molto precocemente a dispetto dei suoi
quattordici anni. A dieci le erano già
comparse le prime mestruazioni. Ciò le
aveva procurato un certo disagio, ma col
trascorrere del tempo aveva saputo accettare
l'evento in modo naturale.
Elena andava orgogliosa
della bellezza della figlia. Raffaella
era quanto di più importate la vita le
avesse riservato. E non avrebbe permesso
ad alcuno, tanto meno a Vincenzo, di
rovinare quell'angelico fiore.
Appena misero piede
nell'appartamento Raffaella andò a
rinchiudersi nella propria camera. Da un
po' di tempo la ragazza si era fatta
schiva e taciturna, molto diversa dalla
Raffaella allegra e spensierata che la
madre conosceva. A nulla erano serviti
gli inviti di Elena per sapere cosa la
turbava, anche se sapeva bene cos'era,
sennonché avrebbe voluto che fosse la
figlia a confidarsi con lei, cosa che la
ragazza si rifiutava di fare.
Da lì a poco Vincenzo
avrebbe fatto ritorno a casa,
probabilmente di nuovo ubriaco. Non le
restava molto tempo per mettere in
pratica il piano che aveva in animo di
portare a termine. Il pensiero le
martellava nella testa come un maglio.
Difficilmente avrebbe
potuto dimenticare la scena di Vincenzo
intento a farsi succhiare il cazzo da
Raffaella. In quella occasione aveva fatto
ritorno a casa in anticipo per uno
sciopero che aveva bloccato la catena
d'inscatolamento del vetro. Entrando
nella camera di sua figlia l'aveva
trovata inginocchiata dinanzi al
patrigno con il cazzo in bocca.
Mai avrebbe immaginato di
assistere a una scena come quella.
Incapace di una qualsiasi reazione era
scappata piangendo senza che i due si
fossero accorti della sua presenza. Una
volta fuori di casa aveva girovagato a
lungo, senza una meta precisa,
camminando sui
marciapiedi della città sino a sera. A
rientro non aveva fatto cenno a
proposito di ciò che aveva visto, né
con Vincenzo né con la figlia, ma da
quel giorno aveva fatto in modo di non
lasciare mai sola Raffaella con
Vincenzo.
La sera precedente il
ricovero in ospedale Vincenzo l'aveva
riempita di botte perché si era
rifiutata di uscire di casa per
comperargli le sigarette lasciandolo
solo con Raffaella. Al suo rifiuto
Vincenzo l'aveva presa a calci
spedendola ancora una volta
all'ospedale.
Elena aprì la credenza ed
estrasse due coltelli. Le lame erano
sufficientemente acuminate poiché le
utilizzava quotidianamente per tagliare
la carne. Ripose i coltelli dentro una
borsa di plastica, dopodiché prese
dall'armadio una vestaglia da bagno e
uscì dall'appartamento. Discese le
scale fino al seminterrato. Dinanzi
alla porta della cantina, tirò fuori
dalla tasca le chiavi e aprì la
serratura. Quando si trovò all'interno
del locale sistemò la vestaglia su di
un attaccapanni, tolse i coltelli dal
sacchetto di plastica e li nascose su di
un ripiano, accanto alla rastrelliera
delle bottiglie di vino. Trascinandosi
lungo il corrimano risalì le scale sino
al suo appartamento.
- Raffaella! Raffaella! -
gridò quando mise piede dentro casa. La
ragazza uscì dalla propria camera e andò
incontro alla madre.
- Tieni, sono
cinquanta euro. Vai ai magazzini Coin e
comprati la gonna che ti ha fatto gola
nei giorni scorsi. Non avere fretta a
tornare a casa. Mi raccomando!
- Mamma devo studiare!
- Ubbidisci a tua madre! Se
ti dico di uscire, fallo alla svelta.
Capito! Voglio restare sola!
La ragazza conoscendo il
carattere irascibile della madre si
guardò bene dal contraddirla. Indossò
il pullover e uscì di casa sbattendo la
porta.
Nelle ultime ore Elena non
aveva smesso un solo istante di pensare
a ciò che avrebbe fatto una volta fatto
ritorno a casa. Apparecchiata la tavola
andò a sedersi su di una poltrona in
salotto. Accese la tivù e col
telecomando si sintonizzò su Canale 5.
A quell'ora del pomeriggio
andava in onda la puntata di Verissimo,
uno dei suoi programmi preferiti. Mentre
le immagini scorrevano sullo schermo del
televisore, accompagnate dalle
esclamazioni del pubblico, stava assorta
nei suoi pensieri, concentrata su quello
che da lì a poco avrebbe dovuto fare.
Tutt'a un tratto udì il rumore delle
chiavi che cercavano d'entrare nella
toppa della serratura.
Vincenzo, malsicuro sulle
gambe, fece la sua apparizione sullo
stipite della porta.
- Ah! Dunque sei tornata a
casa.
- La cena è pronta, manca
solo il vino. Non ho la forza per andare
sino in cantina a prendertelo, ma adesso
che sei qui potremo andarci insieme.
- E Raffaella dov'è? Non
può andarci lei?
- E' andata a fare delle
compere, fra non molto sarà qui. Il vino
però devi andare a prendertelo in cantina. Se vuoi
ti accompagno.
A fatica scesero le scale
che conducevano alla cantina.
Davanti alla porta Elena arrestò il
passo. Con la mano tremolante riuscì a
infilare la chiave nel lucchetto. La
porta si aprì ed entrarono nella
cantina. Premette l'interruttore e una debole luce illuminò il
locale. Vincenzo si avvicinò allo
scaffale dove erano raggruppate le
bottiglie di lambrusco.
Il cuore di Elena pulsava
in maniera disordinata. Mentre Vincenzo
teneva le mani strette attorno a un paio
di bottiglie, un fendente gli trapassò
la schiena in corrispondenza del cuore.
L'uomo piegò le ginocchia e si aggrappò
a uno degli scaffali di metallo cercando
un appoggio. In preda a una furia
omicida Elena lo colpi più volte alla
schiena con il pugnale. Altri colpi gli
trafissero il petto subito dopo.
Elena si fermò soltanto
quando vide Vincenzo cadere esanime per
terra. Il sangue gli usciva copioso
dalle ferite senza che l'uomo, ormai
privo di conoscenza, fosse in grado di
porvi rimedio. Elena non pronunciò
alcuna parola. Soltanto alcuni grugniti
le erano usciti dalle labbra nell'attimo
in cui aveva affondato la lama nel
torace.
S'inginocchiò accanto
all'uomo e si lasciò andare a un pianto
dirotto. Occorsero parecchi minuti prima
di potersi riprendere. Da un armadietto
prese una delle valigie e la posò sul
pavimento. Elena gli girò il capo da un
lato e iniziò a togliergli gli abiti di
dosso.
Il dolore al torace
provocatole dalle fratture costali
l'aveva infastidita parecchio durante
quelle manovre. Le occorse parecchio
tempo per completare l'opera, ma
determinata com'era portò a termine la
sua azione.
Indossò uno dei
camici impermeabili che era solita
indossare in fabbrica e con un colpo
deciso della lama separò la testa dal
tronco del compagno. Il sangue, non
ancora coagulato, si riversò sul
pavimento.
Impressionata dalla grande
quantità di sangue arrestò la sua
azione. Da un recipiente prese della
segatura e la riversò tutt'attorno il collo
del marito in modo da costruire una
barriera al diffondersi del sangue.
Nella preparazione del piano non aveva
previsto quell'inconveniente. Aveva
progettato di separare le membra in
tanti piccoli frammenti, riporli dentro
delle valige, e dissotterrare il tutto
nei terreni golenali lungo il fiume, ma
non poteva farlo col corpo ancora caldo.
A fatica si rialzò. Per la
prima volta da quando aveva iniziato
l'opera fu colta dal panico. Impugnò il
coltello da cucina e con decisione
recise i testicoli e il pene dell'uomo.
Li ripose dentro un involucro di
plastica, dopodiché si liberò del
camice e degli abiti macchiati di sangue
e li abbandonò sul pavimento. Indossata
la vestaglia da bagno uscì dalla
cantina e rinchiuse la porta alle
spalle. Risalì le scale e fece ritorno
nel proprio appartamento. Più tardi, di
notte, quando il sangue si sarebbe
raggrumato avrebbe terminato l'opera,
pensò.
Una volta a casa andò in
bagno, fece la doccia e si mise a
preparare la cena. Raffaella fece
ritorno un'ora più tardi.
- Ciao mamma, tutto bene?
- Sì, sto bene non ti
preoccupare, ora andiamo a cena.
Il tavolo era
apparecchiato. Si sistemarono ai loro
soliti posti. Dopo avere consumato un
primo piatto di fettuccine al ragù,
Elena prese dal fornello il tegame di
stufato di carne e fagioli che aveva
preparato con i tessuti estirpati
all'inguine del suo uomo. Riversò tutto
il contenuto in parti uguali nei loro
piatti lasciando il tegame senza una
goccia di sugo.
- Mamma non ne lasciamo un
poco anche per papà?
- Vincenzo se n'è andato
via. Un amico gli ha trovato lavoro in
Germania, probabilmente non tornerà più,
ma resterà per sempre dentro di noi.
Raffaella sorrise e continuò
a mangiare con più gusto.
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