LA ZUCCHINA
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

  
  
 
All'interno della cinta murarie della città, poco distante dal Monastero della S.S. Trinità, le strade di un intero quartiere erano affollate di cortigiane che, dall'alba al tramonto, esercitavano il mestiere più antico del mondo.
   Al calare delle tenebre Emma aveva abbandonato la postazione di lavoro, davanti al portone di casa, dove era solita adescare i clienti. Dà lì a poco le campane della cattedrale avrebbero annunciato alla popolazione l'entrata in vigore del coprifuoco, e tutte le attività del quartiere si sarebbero fermate.
   Prima di salire i tre piani di scale che conducevano al suo alloggio, una soffitta fredda d'inverno e calda d'estate, aveva provveduto a chiudere il portone di casa con una sbarra di ferro, messa per traverso nel muro, per proteggersi dalle incursioni notturne di quei malviventi che, approfittando del buio, giravano per le strade per compiere efferati delitti e rapine.
   Mancavano pochi minuti alle dieci quando il taverniere dell'osteria dell'Oca Morta, all'angolo col Vicolo delle Muffe, serrò le imposte delle finestre, ultimo fra i commercianti a chiudere la bottega fra quelle che si affacciavano sulla strada. Sulla città addormentata avrebbe vegliato la ronda della gendarmeria; uomini d'armi che dalla curia vescovile aveva ricevuto l'ordine di sparare a vista contro furfanti, ladri e assassini, che si muovevano come cani randagi nella notte, ma la cosa succedeva assai di rado, soprattutto per demerito dei gendarmi che avevano paura di ritorsioni da parte dei briganti.
   Talvolta Emma trascorreva la notte in compagnia di qualche cliente, ma succedeva assai di rado. Durante le ore notturne preferiva riposare, ma quella sera avrebbe fatto una eccezione. Seduta accanto al caminetto era in attesa che sopraggiungesse frate Alberigo d'Orléans, anziano predicatore della vicina abbazia di San Genesio. Lo aveva conosciuto all'osteria dell'Oca Morta dove il religioso aveva fatto la sua comparsa durante l'inverno proveniente dalla vicina diocesi di Lodi. 
   Frate Alberigo trascorreva gran parte dei pomeriggi alla taverna dell'Oca Morta giocando d'azzardo e tracannando boccali di vino. Emma era rimasta sorpresa dai modi poco ortodossi del frate, per niente consoni al saio che indossava. La taverna, oltre a essere ritrovo di commercianti e viandanti, era uno dei rifugi prediletti per ladri, briganti, falsari e prostitute da cui l'ecclesiastico pareva avere assimilato i facili costumi, e per taluni era considerato peggio di loro tutti. Sovente si accompagnava con giovani prostitute e giovanetti senza avere riguardo per il saio che indossava. 
   Emma era una delle cortigiane con cui era solito congiungersi più di frequente. A lei faceva piacere stare in compagnia del frate perché ogni volta la ricompensava con generosità.
   Emma aveva trascorso la giornata sul portone di casa esibendo tette e cosce agli uomini di passaggio, mercanzie che le avevano fruttato un ottimo guadagno. Ma dopo tanto impegno era stanca e affamata, e non vedeva l'ora di rifocillarsi. Una zuppa di cipolle era giusto quello di cui aveva bisogno per ritemprarsi dal freddo accumulato durante la giornata trascorsa per la strada. Per rendere più nutriente la minestra di verdure aveva provveduto a insaporirla con del lardo, un po' di sale e delle spezie, premurandosi di cuocere il tutto a fuoco lento per non fare attaccare le scaglie di cipolla sul fondo del tegame.
   Era impegnata a mescolare con un mestolo di legno la zuppa nella casseruola, sistemata sopra un braciere, quando il suono acuto e ripetuto di un fischio la distolse dal suo impegno. Si affacciò alla finestra dell'abbaino e sporse il capo verso la strada. Osservò la figura dell'uomo che occupava il marciapiede davanti al portone di casa prima di rivolgersi a lui.
   - Chi è? - strillò, indicando all'individuo di farsi riconoscere.
   - Sono io, frate Alberigo. Chi vuoi che sia? Vieni ad aprire la porta, svelta!
   Era la prima volta che l'ecclesiastico le faceva visita di notte, fino allora si erano incontrati durante il giorno senza curarsi della gente. La visita del prelato coincideva con l'inizio della "Settimana di Passione" e precedeva la Santa Pasqua. L'intenzione del religioso era di fortificare lo spirito attraverso la sofferenza fisica e le umiliazioni. Questo perlomeno era ciò che aveva detto a Emma quando si erano accordati affinché lo flagellasse. Lei, dal par suo, ci avrebbe guadagnato l'indulgenza plenaria e la remissione della pena temporale.

   Sprangata la finestra dell'abbaino Emma afferrò il candeliere, sistemato sul tavolo della cucina, e si allontanò dalla soffitta per andare incontro al frate. 
    Il bastone di cera che stringeva nella mano produceva una fiamma sufficientemente luminosa, tale da rischiarare l'area tutt'intorno. Scese i due piani di scale e raggiunse il portone che dava sulla strada. Tolse la barra di ferro posta di traverso nelle mura e aprì l'uscio.
   Dal buio delle tenebre le si fece incontro una figura d'uomo avvolto in un mantello a ruota. Tracolla reggeva una voluminosa sacca di pelle che gli cadeva da una spalla. Emma protese la fiamma della candela nella direzione del viso dell'uomo. Quando la luce della candela gli illuminò la faccia riconobbe la fluente barba grigia di frate Alberigo.
   - Scostati dai, non vedi che sono io.
   Il frate scansò Emma col gomito e l'allontanò verso una parete, poi varcò la soglia.
   - Che fai? Non ti muovi? - disse, rivolgendosi alla donna che si era attardata sullo stipite della porta.
   - Un attimo! Il tempo d'inserire la barra di ferro alla porta e sono da voi.
   Emma precedette il frate lungo la scala facendogli strada col lume. Risalirono in fretta le rampe di gradini che conducevano all'alloggio della donna. Il posto assai modesto comprendeva la cucina e una camera da letto.
   Nella cucina un focolare aperto confluiva in una piccola cappa che giungeva fino al tetto, e scaricava nel comignolo i fumi della combustione delle braci di legna servite a cuocere la zuppa. Nella camera trovava posto un letto a due piazze in legno di ciliegio. In un angolo della stanza, vicino all'abbaino, un treppiede reggeva una bacinella di porcellana con accanto una brocca di terracotta, piena d'acqua, cui faceva ricorso per lavarsi dopo gli incontri con i clienti.
   - Cos'è il buon odore che annusano le mie narici ?
   Il frate immerse il naso nella casseruola di terracotta colma di zuppa di cipolle che stava appoggiata sul tavolo. Prima che il frate pronunciasse un'altra parola Emma lo prevenne.
   - Cipolle. Ho fatto una zuppa, ne volete?
   - Puach! Cipolle, ancora cipolle, ne ho la nausea di questo genere di mistura.
   - Mi spiace ma non ho niente di meglio da offrirvi. Se me l'aveste chiesto mi sarei premurata di procurarvi una caraffa di vino, di quello che voi siete solito bere alla taverna dell'Oca Morta.
   - Vino? No, grazie. Siamo in Quaresima e non posso berlo. Devo privarmi di tutto, lo sapete bene. E' questo il motivo per cui sono venuto da voi stasera. Siete pronta?
   - Come no! Certo. Pronta a soddisfare ogni vostro desiderio. Come sempre.
   Emma aveva conosciuto frate Alberigo nell'inverno appena trascorso. Un'epidemia di tosse asinina aveva minato alle radici interi quartieri della città provocando più di cinquemila morti. Soltanto nelle ultime settimane, con il sopraggiungere della primavera, fra le mura della città si era tornati a respirare un'aria salubre e Parma era ritornata a essere come prima dell'epidemia.
   La malattia aveva ucciso le persone più deboli infierendo soprattutto su anziani e bambini. La febbre aveva assalito le persone provocando dei brividi che scuotevano lo scheletro e tutto l'organismo. Una tosse convulsiva con un catarro tormentoso era il segnale pubblicamente noto di chi aveva contratto la malattia.
   Nel cimitero rionale le autorità erano state costrette a fare scavare un grande numero di fosse comuni per fare fronte all'epidemia, dove i becchini avevano provveduto a scaraventarvi i cadaveri. Nelle strade si erano svolte più di una processione per chiedere misericordia e protezione a santi e beati. Durante una di queste cerimonie religiose Emma si era trovata a stretto contatto con frate Alberigo di cui aveva fatto conoscenza all'osteria dell'Oca Morta.
   In quella occasione il monaco era a capo di una processione. Fra le mani teneva ben stretta un’asta di legno sul cui labaro spiccava l'effigie di Sant'Ilario, patrono della città. Emma aveva seguito dappresso il frate durante tutta la cerimonia religiosa, accompagnandolo nell'attraversamento delle strade del quartiere, recitando insieme a lui e al resto dei fedeli il Santo Rosario.
   A dispetto del mestiere che Emma esercitava si considerava una donna pia e devota alla Madonna. Era convinta che sulla terra ogni essere umano è di passaggio. Non aveva paura di morire, persuasa com'era che dopo la morte l'attendeva una vita migliore rispetto a quella che stava conducendo. Quello che più le premeva era la sofferenza che precede la morte: ne aveva una paura terribile. Ogni volta che si appartava con un cliente era conscia del rischio di potere contrarre qualche malattia venerea, ma non era il caso di frate Alberigo con cui si era accompagnata un'infinità di volte.
   Nell'esercitare il mestiere di prostituta era rimasta contagiata più volte dai clienti. Dei minuscoli funghi le avevano provocato delle erosioni alla mucosa vaginale e un herpes le procurava tutt'ora delle eruzioni di vescicole sulle piccole e grandi labbra. Lacerazioni che le procuravano un forte prurito alla vagina, ma che in nessun modo era riuscita a debellare. Manteneva sotto controllo queste infezioni con impiastri d'erbe medicinali che le aveva prescritto una guaritrice e le procuravano sollievo.
   Emma, nonostante tutto, si riteneva una donna fortunata poiché la maggioranza delle prostitute che esercitavano la professione nel quartiere erano più malandate di lei. Da poco aveva compiuto venticinque anni e da dieci si prostituiva. Era suo intendimento di mettere da parte un certo gruzzolo di denaro e in un prossimo futuro fare ritorno a casa, in campagna, dove l'attendevano i vecchi genitori. Di sicuro non aveva nessuna intenzione di fare la medesima fine delle meretrici che si prostituivano in prossimità del cimitero rionale per pochi soldi.
   Frate Alberigo non perse tempo, si liberò del saio e rimase nudo. Smunto, slavato, con le ossa che gli sporgevano dalla pelle, prese posto ai piedi del letto. Si mise carponi sul pavimento con le mani appoggiate davanti il capo e le natiche sollevate.
   - Sono pronto. Puniscimi!
   - Farò come volete, mio signore.
   Emma si pose al fianco del frate e si accomodò su di una sedia, poi lasciò cadere delle sonore sculacciate sulle natiche del frate.
   Il religioso, all'inizio titubante, sembrò trarre godimento dal contatto della mano e incominciò ad accompagnare le sculacciate con gemiti di piacere.
   - Sì, dai, colpiscimi. Più forte! Fammi soffrire!
   Emma non se lo fece ripetere una seconda volta. Affondò con maggiore vigore la mano sul deretano del frate che, dopo le ripetute percosse, aveva assunto un colorito rossastro, perlomeno questa fu l'impressione che Emma ne aveva tratto, stante la poca luce che illuminava la stanza. Proseguì nell'opera di percosse fino a quando fu interrotta dalla voce del frate.
   - Prendi dalla sacca il crotalo che c'è dentro e colpiscimi!
   La borsa del frate era accantonata sul pavimento a portata di mano di Emma. Fra le cianfrusaglie collocate nella sacca scorse l'oggetto menzionato dal religioso e agguantò il manico del crotalo stringendolo forte nella mano.
   Il battitoio era formato da tre tavolette di legno sovrapposte ma non congiunte una all'altra. Emma iniziò a colpire con violenza le natiche del frate, ripetendo il gesto più volte, in breve successione, fino al momento in cui il frate urlò:
   - Più forte, più forte!
   La violenza d'impatto del crotalo sulla pelle era commisurata al rumore che il legno provocava quando andava a sbattere contro la pelle del frate. L'epidermide, da prima solo arrossata, iniziò a grondare sangue. Allarmata dall'emorragia, sempre più copiosa, Emma avrebbe voluto mettere fine alla sua azione.
   - Continua! Continua! Non posso desistere dalla penitenza.
   Tutt'a un tratto in Emma si fece largo l'idea di sfruttare a proprio vantaggio le debolezze del frate. Oltre all'indulgenza plenaria che le aveva promesso prese in considerazione l'eventualità di ricattarlo. 
   "Se vuole che non racconti alla gente delle sue strane abitudini sessuali dovrà ricompensarmi in qualche modo". Si mise a pensare mentre, ostinata, seguitava a battere il crotalo sulle natiche del frate.
   Con malagrazia l'ecclesiastico la supplicò di cogliere dalla sacca una delle zucchine che si era portato appresso e di porgergliela. Emma scelse un ortaggio di forma oblunga che a malapena reggeva nella mano, ma non sapeva che uso il frate intendesse farne, anche se un dubbio si fece largo nella sua mente.
   - Nel culo me lo devi mettere. Nel culo! Capito! Voglio soffrire.
   Per nulla intimorita Emma abbandonò la sedia su cui era rimasta seduta durante tutto il tempo della flagellazione. Si mise in ginocchio dietro il culo del frate, che lui stesso aveva provveduto ad ammorbidire cospargendoci sopra più di un grumo di saliva, pronta a infilargli la zucchina nell'ano. Persino un pugno chiuso sarebbe entrato nella cavità tanto era elastica la voragine.
   - Sì... sì... così. Trascinalo per bene avanti e indietro. Fammi male!
   Emma condusse l'ortaggio nell'ano senza alcun timore, conscia che al frate avrebbe procurato un dannato piacere. Il religioso afferrò la mano che Emma teneva libera e la condusse sul cazzo. Lei cinse con le dita il membro turgido e pieno di vita e iniziò a menarlo sfiorando col braccio la superficie dello scroto.
   Andò avanti a scoparlo nel culo utilizzando l'ortaggio mentre con l'altra mano lo masturbava senza sosta. In tanti anni di professione non le era mai capitato di essere protagonista di una esperienza simile a quella, eppure di cose strane ne aveva viste più di una.

   Quando Frate Alberigo raggiunge l'orgasmo emise un urlo inumano a cui fece seguito una copiosa sborrata. Emma trattenne il liquido fra le dita e provvide a depositarlo sulle labbra del frate come era solita fare ogni volta che scopava con lui. Il religioso s'irrigidì in tutto il corpo e si arricciò su se stesso. Solo allora Emma smise di penetrarlo con la zucchina. 
   Frate Alberigo sfilò con le proprie mani l'ortaggio dal culo e si lasciò andare a un lungo sospiro, dopodiché abbandonò l'ortaggio sul pavimento e si rialzò fradicio di sudore. Indossò il saio e insieme alla donna fece ritorno in cucina.
   Sedettero al tavolo sfiniti dopo quanto era accaduto. Frate Alberigo riempì una ciotola di sugo di cipolle, intinse alcuni crostini di pane nella zuppa, ormai tiepida, e con un mestolo iniziò a sfamarsi.
   Emma aveva provveduto a trasportare nella stanza il lume e lo aveva posto sul tavolo. Il frate invece si era trascinato appresso la sporta di pelle e la custodiva fra i suoi piedi.
   - Non crede padre che debba meritarmi qualcosa di più importante rispetto alle indulgenze che già mi avete promesso? Qualche soldo mi farebbe davvero comodo. D'altronde sapete bene che non dirò mai ad alcuno quali pene affliggono il vostro deretano.
   - Ne sono certo. - farfugliò il frate, ingoiando un mestolo di minestra.
   L'ecclesiastico asciugò le labbra con una manica del saio e si alzò in piedi. Mentre la donna era china sul tavolo, intenta a consumare la zuppa, tolse dalla sacca un'accetta. Con cautela si portò alle spalle di Emma. Appoggiò una mano sul capo della donna e si premurò di spingerlo contro il legno del tavolo. Prima che Emma potesse rendersene conto il frate le aveva staccato la testa dal corpo dopo averle inferto tre colpi d'accetta in breve successione sul collo. 
   Gli occhi della donna si spalancarono per spegnersi senza vita. Il corpo mutilato crollò al suolo. Il capo rotolò sul tavolo e andò a fermarsi in prossimità della casseruola che conteneva quanto era rimasto della crema di cipolle.
   Ripulita l'accetta con un lembo del vestito della donna, il religioso ripose nella sacca lo strumento tagliente. Mise tracolla la bisaccia, spense il lume e abbandonò la soffitta.

   Frate Alberigo era uno dei più crudeli assassini che vagavano nella Pianura Padana. Prima di allora aveva compiuto il medesimo misfatto uccidendo altre nove donne. I suoi delitti rimasero per sempre impuniti e diventò persino cardinale.
   Soltanto qualche giorno prima, alla taverna dell'Oca Morta, una zingara leggendo la mano a Emma le aveva detto: presto troverai un uomo che ti farà perdere la testa. E così era stato. 

 

 

 
 

------------------------------------

 
 

Racconti
1 - 100

Racconti
101 - 200

Racconti
201 - 300

Racconti
301 - 400

Racconti
401 - 500

Racconti
501 - 600

Racconti 601-700


.E' vietato l'utilizzo dei testi ospitati in questo sito in altro contesto senza autorizzazione dell'autore
I racconti sono di proprietà di Farfallina e protetti dal diritto d'autore.
L'usurpazione della paternità dei testi costituisce plagio ed è perseguibile a norma di legge.