|
LE
PAROLE
DELL'ABBANDONO
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Quando
misi piede nella Biblioteca Panizzi non
potevo immaginare che da quella visita
ne sarebbe scaturita una storia d'amore con
Marina.
Dopo avere prelevato un
paio libri, custoditi negli scaffali
riservati alla letteratura americana,
diedi un rapido sguardo ai volumi di
autori reggiani conservati in un settore
della biblioteca a loro interamente
dedicato. Quella mattina, per caso, mi
capitò fra le mani un romanzo dal
titolo "Le parole
dell'abbandono".
Incuriosita dalla notorietà
dell'autrice, che in passato era stata
incoronata Miss Reggio Emilia, mi misi a
leggere la quarta di copertina. Quando
passai a sfogliare le pagine del libro,
in terza pagina, appena sotto il titolo
del romanzo, trovai una dedica scritta
di proprio pugno dall'autrice.
"Faccio
dono di questo mio romanzo alla
biblioteca
che per tanti anni è stato
luogo per le mie riflessioni,
rivelazioni, incertezze, della
mente e del cuore".
Con
affetto.
Marina Reggiani
|
In
calce alla dedica mi sorpresi nel
trovare annotato l'indirizzo e-mail e il
numero del cellulare della scrittrice.
In quel preciso istante, leggendoli,
decisi che avrei scritto a
quell'indirizzo di posta elettronica per
esprimerle il mio giudizio una volta
letto il libro.
Quello stesso giorno portai
a termine la lettura del breve romanzo
affascinata dalla storia raccontata
dall'autrice, ma conquistata soprattutto
dalla sua bravura. La sera stessa le
scrissi una e-mail comunicandole che il
romanzo mi aveva profondamente commosso.
La storia di abbandono
raccontata nel romanzo mi aveva fatto
tornare alla mente il romanzo di
un'altra autrice, Elena Ferrante, di cui
in passato avevo letto "I giorni
dell'abbandono" e sulle cui pagine
avevo pianto allo stesso modo di quanto
mi era accaduto leggendo il libro di
Marina.
Scrivendole mi firmai con
il mio nome e cognome; quelli veri e non
quelli fasulli come sono solita fare
quando, navigando in internet,
intrattengo rapporti epistolari con
emeriti sconosciuti.
Marina, però, non mi era
del tutto estranea, perché l'anno in
cui si era aggiudicata la fascia di Miss
Reggio Emilia anch'io facevo parte della
rosa delle venti ragazze selezionate per
la serata finale.
Ero certa che non si
sarebbe ricordata di me, ragione per
cui, scrivendole, non feci cenno al
nostro precedente incontro. Anzi, se
devo essere sincera nemmeno misi in
conto che avrebbe potuto rispondere alla
mia missiva, invece un paio di settimane
più tardi, quando ormai avevo perso
ogni speranza di ricevere una qualsiasi
risposta, trovai una sua lettera al mio
indirizzo di posta elettronica.
Marina, dopo essersi
laureata, aveva abbandonato Reggio
Emilia ed era andata a vivere a Milano
dove svolgeva la professione di
pubblicista presso una grande casa
editrice. Quando in una successiva
lettera le rivelai che avevo partecipato
al medesimo concorso di bellezza dove
era stata incoronata Miss Reggio, mi
comunicò che le sarebbe piaciuto
conoscermi di persona, e io non vedevo
l'ora che ciò accadesse.
- Nei fine settimana faccio
spesso ritorno a Reggio. Se ti va,
potremmo consumare un aperitivo al
Paguro, il caffè letterario di Via
Monzermone. E' un posto fico e assai
carino.
Stupendola non poco le
proposi d'incontrarci all'Ipercoop
Ariosto, in uno qualsiasi dei punti di
ristoro del Centro Commerciale situato a
metà strada fra la tangenziale e il
casello dell'autostrada. Lei accettò
d'incontrarci al posto che le avevo
indicato senza obbiettare facendo sua la
mia proposta.
All'Ipercoop Ariosto, il più
grande Centro Commerciale di Reggio
Emilia, sviluppato su tre piani, ci
arrivai poco dopo mezzogiorno alla guida
della mia Peugeot 107. L'ampio
parcheggio del
centro commerciale era occupato da una
infinità di autovetture appiccicate una
all'altra come le pedine di una
scacchiera. Trovai da parcheggiare al
coperto, poco distante dalle rampe degli
ascensori che da piano terra conducono
ai piani superiori. Andai a occupare una
piazzola lasciata libera da una
autovettura nel momento in cui la
conducente stava per allontanarsi dal
centro commerciale.
A Lorenzo, il mio moroso,
nascosi lo scambio di lettere intercorso
con Marina, nemmeno gli riferii
dell'appuntamento concordato all'Ipercoop. Se lo avessi fatto mi
avrebbe preso per matta.
Salendo la scala mobile che
da pianoterra conduce al primo piano del
centro commerciale non potei fare a meno
di pensare a Marina. L'ultima volta che
l'avevo vista era accaduto dieci anni
addietro, alla festa d'incoronazione di
Miss Reggio, manifestazione a cui avevo
preso parte dopo avere conseguito il
titolo di Miss Liceo. All'epoca avevo
diciassette anni, Marina qualche anno di
più perché era iscritta all'università.
Mentre mi avvicinavo al
luogo dell'appuntamento pensai che non
mi sarebbe stato difficile riconoscerla.
Per Marina sarebbe stato pressoché
impossibile passare inosservata con il
suo metro e ottanta di altezza, specie
se calzava tacchi da dodici. Emozionata
la ero per davvero, ma anche eccitata, e
non sapevo spiegarmene la ragione, anche
se leggendo il suo romanzo ne ero
rimasta profondamente turbata.
Avevamo concordato
d'incontrarci al ristorante self-service
"Rita", nell'area al secondo
piano del centro commerciale, dove
avremmo consumato il pranzo.
All'appuntamento ci arrivai in anticipo
di qualche minuto rispetto all'ora
concordata. In attesa del suo arrivo
occupai un tavolo fra quelli liberi del
ristorante, dopodiché seguitai a
guardarmi d’intorno desiderosa di
scorgere la sua figura nel caso fosse
capitata lì prima del tempo.
Marina mi raggiunse con un
quarto d'ora di ritardo rispetto all'ora
stabilita. La sua apparizione non passò
inosservata alle persone che affollavano
il centro commerciale. A molti uomini
venne il collo torto nell'ammirare la
sua figura. Alta più del normale,
incedere elegante, oserei dire da
mannequin, gonna corta a mostrare le
cosce, camicetta scollata quanto basta
per fare vedere l'attaccatura dei seni,
pareva uscita da una rivista di moda. I
capelli biondi e lisci a cadere sulle
spalle, il viso con qualche lentiggine
di troppo, le conferivano un aspetto nordico.
Mi alzai dalla sedia e le feci cenno,
agitando una mano nella sua direzione,
per farmi riconoscere. Mi sorrise e
venne dritta verso di me. A tutt'e due
venne spontaneo abbracciarci. Scambiammo
un paio di baci sulle guance, dopodiché
ci sedemmo attorno al tavolo.
Tardammo a pranzare,
interessate a conoscerci piuttosto che
riempirci lo stomaco di cibo, mentre
intorno a noi i tavoli si riempivano di
famiglie affamate. Da raccontarci
avevamo un sacco di cose. Da troppo
tempo ero in attesa di conoscere una
donna, per certi versi simile a me, con
cui confidarmi.
Alle due del pomeriggio,
dopo avere pranzato al self-service,
eravamo ancora lì a scambiarci
confidenze sulla nostra vita. Le chiesi
se il tema dell'abbandono, soggetto del
suo romanzo, fosse parzialmente autobiografico,
oppure soltanto di fantasia.
L'impressione che ne avevo tratto
leggendo il testo, era che la sofferenza
profonda che traspariva nelle pagine del
libro traesse spunto da fatti realmente
accaduti, una storia in cui l'autrice,
priva di difese, raccontava se stessa,
mettendo a nudo le paure di una donna
che si era trovata a vivere un evento
traumatico come l'abbandono improvviso
da parte del compagno.
Leggendo le pagine del
libro avevo ritrovato pensieri,
riflessioni, e momenti del mio vissuto,
tutte cose che mi avevano fatto
profondamente riflettere e riconsiderare
il mio passato. Non ho mai provato la
tragedia di una crisi coniugale, ma la
situazione dolorosa di una separazione
quella sì, anche più di una. A volte
mi è capitato di avere lasciato qualche
compagno e in altre occasioni di essere
stata abbandonata, ma ogni circostanza
è stata il pretesto per pormi nuovi
interrogativi sul senso della vita, se
mai ce n'è uno. Penso che il mondo sia
soltanto una grande illusione ed è
questa la ragione per cui vivendo le
giornate non dobbiamo prenderci troppo
sul serio.
Non ebbi bisogno
d'insistere per farle ammettere che
molto di quanto aveva scritto nel
romanzo traeva spunto dal suo vissuto.
Mi raccontò di essere stata sposata con
un uomo con cui aveva felicemente
convissuto per cinque anni. Non c'era
stata una vera e propria crisi fra loro, ma un
giorno, d'improvviso, lui l'aveva
abbandonata, senza darle delle spiegazioni, per mettersi insieme a
un'altra donna.
Recuperare la normalità,
passando per la rabbia e le grida
silenziose e urlate, non era stato
facile. Mi confessò che aveva impiegato
molto tempo per superare quel dolore.
L'abbandono, dopo cinque anni di
matrimonio, l'aveva fatta sentire una
donna dimezzata, inadeguata e incapace
d'amare. Il tradimento l'aveva costretta
a farsi una infinità di domande,
interrogandosi prima di tutto sulle
affinità che aveva in comune col suo ex
marito. Ma l'abbandono l'aveva portata a
riflettere su quanto avevano dovuto
rinunciare entrambi durante la vita in
comune. Per molto tempo si era illusa
che la vita coniugale che stava
conducendo fosse l'unica felicità
possibile, invece col passare del tempo,
dopo essere rimasta sola, si era accorta
che non era così. Aveva sbagliato a
considerare il loro rapporto in quel
modo.
Quando alle tre del
pomeriggio ci salutammo feci fatica a
staccarmi da lei. Sarei rimasta in sua
compagnia per il resto del pomeriggio e
tutta la notte se solo me lo avesse
chiesto, ma non lo fece.
Mentre stavo per fare
ritorno a casa, alla guida mia Peugeot
107, ero convinta che il nostro incontro
avrebbe avuto un seguito. Infatti, non
mi sbagliai perché quella sera stessa
nella posta elettronica trovai un
messaggio di Marina.
- Quando ci rivediamo? Mi
farebbe piacere stare di nuovo in tua
compagnia.
Erano poche parole, ma
piene di significato. Non risposi
immediatamente al messaggio con il
replay, anche se avrei desiderato farlo.
Preferii lasciare in sospeso la riposta
per almeno 24 ore, infine le risposi che
desideravo anch'io rivederla.
Il sabato successivo ci
incontrammo di nuovo, ma stavolta
accadde di sera. Mi sentivo attratta
fisicamente da lei e non solo per
l'intelligenza di cui madre natura l'ha
dotata e nemmeno per la bravura che
mostrava nello scrivere. Ero rimasta
sedotta dalla sua bellezza e avrei
voluto essere sua come in passato lo ero
stata di qualche amica con cui ho fatto
del sesso saffico.
Trascorremmo la serata al
Paguro bevendo diverse miscele di
cocktail, dopodiché feci l'amore con
lei, a casa mia, nel mio letto. Fui io a
smuovere le acque quando alle due di
notte la invitai ad allontanarci dal
locale per recarci nella mia abitazione ad
ascoltare un po' di musica.
- Abito in Piazza della
Vittoria, è a due passi da qui,
possiamo andarci a piedi se ti va.
Lei accettò l'invito
dandomi l'impressione, con un sorriso
ammiccante, di non aspettarsi altro che
ricevere quella proposta.
Per strada camminammo
appaiate sui marciapiedi bagnati dalla
pioggia di un improvviso temporale,
strusciandoci in continuazione una
contro l'altra, prendendoci per mano
come due scolarette a dispetto dei
nostri trenta e passa anni. Davanti al
portone di casa arrestai il passo. Prima
di superare la soglia penetrai a fondo
gli occhi Marina e mi rivolsi a lei.
- Davvero vuoi salire su da
me?
- Ti sembra che abbia
voglia di scherzare?
- No.
Salii le rampe di scale che
terminavano al terzo piano del palazzo
col cuore che pareva uscirmi dal petto,
non per la fatica, ma per l'eccitazione
che mi portavo addosso.
Davanti alla porta del mio
appartamento, mentre infilavo la chiave
nella toppa della serratura, Marina calcò
la sua mano sulla mia e l'accarezzò
senza pudore. Il contatto con le dita mi
mandò in circolo un fiotto di
adrenalina che mi squassò il corpo da
capo a piedi. Solo allora presi
consapevolezza dei capezzoli turgidi che
premevano contro il tessuto della
camicetta e del calore dell'umido che
m'impiastricciava le cosce.
Con quel semplice gesto
della mano Marina pareva dirmi: -
Eccomi, sono tutta per te.
Gli ormoni in subbuglio
fecero il resto perché avevo addosso
una dannata voglia di possedere il suo
corpo tutto di un fiato. Se non lo
avessi fatto, lì, subito, sarei andata
giù di testa perché avevo la figa che
stava liquefacendosi per l'eccitazione.
La passione di cui eravamo
gravate ci spinse nelle braccia
dell'altra appena mettemmo piede oltre
la porta. Tutt'e due avevamo una voglia
matta di scopare. Ne avevamo voglia e
basta, senza porci troppi problemi.
Perso il controllo dei
sensi mettemmo da parte la razionalità.
Le lingue, più che articolare parole,
riempirono la cavità delle nostre
bocche. Fu un bacio lungo e appassionato
quello che ci scambiammo, come non mi
succedeva da tempo memorabile.
Non staccammo per lungo
tempo le labbra ingorde una dell'altra.
Ma baciarci non ci sarebbe bastato,
volevamo dell'altro e altro ancora. Mi
ritrovai nuda ad avvolgere le mani sulle
sue tette senza accorgermi di come c'ero
arrivata, sorpresa, ma non troppo, della
loro consistenza.
Pensai persino che fossero
rifatte tanto erano sode, ma sbagliavo.
Lei invece, mentre pensavo alla
consistenza di quelle tette, mi
attraversò il bordo degli slip e esplorò
con le dita la fessura della passera,
bagnata fradicia di umore.
Seguitò a carezzarmi le
labbra della vagina fino a farmi sussultare per la
troppa eccitazione. Affondai le unghie
nella schiena e i denti sul collo
lasciandole delle impronte di lividi
sulla pelle. Tutt'a un tratto mi
ritrovai con il fiato grosso, il petto
gonfio e i capezzoli duri nel silenzio
del corridoio del mio appartamento rotto
dai sospiri che uscivano dalle nostre
labbra.
Affondai ancora una volta
la lingua nella sua bocca e le diedi un
morso al labbro fino a farglielo
sanguinare. Marina tirò indietro il
capo e io la inseguii con la bocca
impiastricciando di sangue il mio viso.
Lei scostò di nuovo il capo e sorrise.
Mi rincorse con la lingua e l'affondò
di nuovo nella mia bocca, mentre non
desiderava altro che riceverla. Seguitò
a scoparmi con la lingua, dura,
puntuale, ritmica. Serrai le cosce
attorno alla sua mano che insisteva a
toccarmi il clitoride per condurmi
all'orgasmo.
Tutt'a un tratto si liberò
delle scarpe, con tacchi da dodici
centimetri, che mi rendevano quasi
irraggiungibile la sua bocca, e incominciò
a sussurrarmi parole di fuoco
all'orecchio facendomi scorrere ancora
più celermente, se mai ce n'era
bisogno, il sangue nelle vene.
Il giorno che c'eravamo
viste alla tavola calda dell'Ipercoop,
avevo intuito dai suoi primi sguardi che
era una donna pericolosa. Una che mi
avrebbe portato sull'orlo di un
precipizio se l'avessi assecondata in
tutto e per tutto. Eppure mentre
facevamo l'amore seguitai a crogiolarmi
nel profumo del suo corpo, assaporandone
il gusto della pelle in un vortice di
passione incontrollato, con la vagina allagata, senza fare caso alle
conseguenze di quella strana amicizia.
D'improvviso iniziò a
baciare i miei sospiri, poi si
inginocchiò nuda davanti a me. Affondò
le guance fra le mie cosce che
prontamente allargai. La lingua assetata
soddisfece la sua sete, rumorosamente,
succhiando, l'umore della mia vagina. Le
collocai entrambe le mani sul capo e la
spinsi verso di me fino a toglierle il
respiro, lasciando che deglutisse il mio
umore senza sprecare una sola goccia.
L'orgasmo mi scosse tutta
da capo a piedi. Serrai le cosce intorno
al suo viso soffocandola mentre venivo.
Quello fu il primo di una lunga serie di
orgasmi che fui in grado di raggiungere
nella medesima serata.
La stanza dove finimmo a
letto, dopo la parentesi nel corridoio,
era in penombra per effetto della luce
di una abat-jour posta su un comodino.
Mi scoprii in imbarazzo quando ci
ritrovammo coricate una di fianco
all'altra con i suoi occhi che
seguitavano a scrutare in maniera avida
il mio corpo. Il bagliore intrigante
delle sue pupille mi suggerì che era
soddisfatta di come mi mostravo a lei,
del resto la ero anch'io del suo corpo.
Avvolse un braccio intorno al mio fianco
e mi attirò a sé. Fu un bacio
appassionato quello che ci scambiammo.
Con la lingua frugò con insistenza
dentro la mia bocca come fosse sua
intenzione capire fino a dove ero
disposta ad arrivare. E io ero disposta
a tutto per lei.
- Voglio che ti masturbi
mentre ti guardo. - disse fissandomi
negli occhi. - Voglio che tu mi dia
piacere in questo modo. - insistette. -
Quando sarai prossima all'orgasmo voglio
che ti metti sopra di me e sfreghi la
passera contro la mia.
Un calore improvviso si
diffuse fra le mie cosce quando Marina
articolò quelle parole. Le mani
cominciarono a prudermi per la voglia
che avevo di masturbarmi. Mi misi
semiseduta sul letto, con un cuscino
alle spalle. Allargai le cosce, piegai
le ginocchia, e feci scendere una mano
lungo una coscia, poi cominciai a
toccarmi come mi aveva ordinato di fare.
Lei rimase a guardarmi godendo della
vista della mia figa esposta
impudicamente al suo sguardo.
Seguitai a toccarmi
mantenendo gli occhi chiusi fintanto che
il mio respiro si fece più accelerato.
- Goditi lo spettacolo! - avrei voluto
urlarle addosso, ma ero certa che già
ne stava godendo compiacendosi di quello
che mi stava forzando a fare.
- Toccati i capezzoli
mentre ti masturbi, dai.
Iniziai a tormentarmi
l'estremità dei capezzoli dopo averli
inumiditi di saliva, pizzicandoli,
graffiando le areole con l'estremità
delle unghie come desiderava che
facessi. Mentre mi toccavo potevo
percepire le pupille dei suoi occhi
andare dietro ai miei gesti. Senza che
me lo dicesse abbassai le dita fra le
cosce e cominciai a coccolarmi il
clitoride gonfio e turgido con dei
movimenti lievi e rotatori.
Il morbido calore della
escrescenza del clitoride, sfiorato in
continuazione dalle dita, mi trasmise un
incredibile piacere. Tutt'a un tratto
una scarica di brividi mi percorse la
schiena costringendomi a spingere a più
riprese il bacino verso l'alto.
- Adesso smettila di
trastullarti il clitoride e penetrati
con le dita, dai. - disse Marina. -
Voglio vederle sparire nella figa.
Obbedii al suo ordine e mi
penetrai con due dita, tre sarebbero
state troppe per il ristretto lume della
mia passera. Spostai le dita avanti e
indietro con sollecitudine mentre dalla
mia bocca uscivano gemiti di piacere.
Ero vicinissima all'esplosione di un
nuovo orgasmo, sarei venuta da lì a
poco se Marina non avesse interrotto il
movimento della mia mano e non avesse
avvicinato le dita alla sua bocca per
succhiarle una a una.
- Mi piace assaporare il
sapore del tuo piacere. - disse
spezzando il mio di piacere per favorire
il suo.
Andò avanti a mungermi le
dita, mentre più di un sospiro di
godimento sfuggiva dalle sue labbra. Non
potevo indugiare oltre, contravvenendo
al suo ordine, mi misi cavallo del suo
corpo e cominciai a strofinare
l'estremità dei miei capezzoli contro
il suo petto. Mi sfuggì più di gemito
dalle labbra nel sentire il suo corpo
teso sotto di me. Affondai le guance fra
le sue cosce e stavolta toccò a me
impadronirmi del suo clitoride.
Incominciai a succhiarlo
fino a farlo diventare duro e turgido
come un cece mentre il piacere montava a
dismisura nelle mie e sue labbra.
Quando il suo bacino
cominciò a scuotersi ebbi la chiara
sensazione che era prossima all'orgasmo
e così accadde. Le contrazioni
dell'utero si susseguirono mentre
l'orgasmo montava fino a esplodere fra
le sue cosce e nella sua testa
riempiendomi di gioia. Le nostre bocche
si cercarono, infine ci ritrovammo
inginocchiate sul letto, abbracciate una
all'altra, in un tremore senza fine,
mentre le nostre lingue s'intrecciavano
freneticamente. Non so dove trovai la
forza di staccarmi da lei. Prima che ciò
succedesse Marina mi parlò
all'orecchio:
- E questo è solo
l'inizio.
Quella sera non ci
prendemmo nessun impegno, nemmeno quello
di rivederci. Avevamo fatto l'amore per
puro piacere consce che nelle nostre
vene pulsava il medesimo genere di
sangue. Tra noi c'era stata complicità
nel riconoscerci simili una all'altra,
per ciò che eravamo e di quello che
volevamo, e di quanto avevamo bisogno di
nutrire le nostre anime. Ci scoprimmo
amanti, anzi, peggio, ci scoprimmo due
belve fiere di sbranarsi fino a stare
male. Questo è ciò che siamo diventate
perché ancora oggi ci abbandoniamo
all'estasi dei nostri corpi.
Ormai non ho più nessun
dubbio. Marina la sento nelle mie
viscere, fa parte di me. Fra noi è una
lotta all'ultimo respiro. Io con la mia
carnalità, lei con il suo appetito
sessuale. Un gioco oscuro, il nostro, e
non so dove ci condurrà. Sto ancora
lottando contro la voglia che ho di
appartenerle. Ma quello che veramente
desidero è di essere proprietà tutta
sua. E Lorenzo? Beh, lui l'ho
abbandonato.
|
|
|