Mario
occupava un monolocale di proprietà
comunale al quinto piano di un vecchio
stabile confinante con i binari della
ferrovia Parma-Spezia. L'unica finestra
del monolocale si affacciava dirimpetto
a un cinema-teatro, lo Splendor, in cui
si proiettavano film a luci rosse. In
passato il locale aveva visto tempi
migliori, specie quando le compagnie
d'avanspettacolo si esibivano sul
palcoscenico e il tetro si riempiva di
voyeur.
Assumeva cibo una sola
volta al giorno, a mezzogiorno,
sfamandosi con un piatto di pastasciutta
insaporita con conserva di pomodoro e
olio d'oliva, senza aggiungervi
formaggio per economizzare nelle spese.
Trascorreva le serate davanti alla tivù,
seduto sul divano, rimbecillendosi con
telenovelas, sit-commedy e programmi
sportivi, ubriacandosi con vino di
pessima qualità acquistato al discount
ubicato a poca distanza dalla sua
abitazione.
Si manteneva in vita grazie
a una modesta pensione d'invalidità,
quattrocento euro in tutto, ottenuta allorché, nello svolgere
il lavoro di carpentiere, era
precipitato da una impalcatura e si era
fratturato tre vertebre lombari e un
femore, diventando inabile al lavoro.
Conduceva una vita grama,
ai limiti della sopravvivenza, senza mai
lamentarsi. Avrebbe potuto arrotondare
la pensione d'invalidità arrangiandosi
con qualche lavoretto, in nero
naturalmente, ma non gli andava di
sbattersi a elemosinare aiuto alla
gente. Era troppo orgoglioso per farlo.
Una mattina, seduto su una
panchina del Parco Ducale, con tutt'e
due le braccia stese sullo schienale,
intento a guardare i bimbi che si
rincorrevano nei prati, un ragazzino si
fermò davanti a lui.
La giornata era afosa, non
spirava un alito di vento. Mario era in
braghe corte, la canottiera a
coprirgli il torace e un paio di zoccoli
ai piedi. Annodato attorno al collo
teneva un fazzoletto per arginare le
gocce di sudore che gli rigavano le
guance.
Gli piaceva starsene all'ombra delle piante,
avrebbe fatto ritorno a casa da lì a
poco impaziente di bere qualche
bicchiere del vino, bianco frizzante, la
cui bottiglia si era premurato di porre
nel frigorifero.
- T'interessa un lavoretto?
- disse il giovane rivolgendosi a Mario.
- Dipende...
- Quanto vuoi per fartelo
succhiare?
- Eh?
- Ti stanno bene trenta
euro per fartelo succhiare?
- Trenta euro?
- Sì, non uno di più. -
soggiunse il ragazzo esibendo un portamento
di superiorità.
Prima di rispondergli Mario
rimase a osservarlo. L’aspetto del
ragazzo era quello del liceale di buona
famiglia. Infatti, vestiva con abiti firmati. Una
t-shirt blu di Valentino, un paio di
bermuda della Prada e ciabatte infradito
dell'Adidas. Al polso reggeva un Rolex
di un certo valore.
- Beh! Che fai ti decidi
oppure no?
Mario rimase a riflettere
alcuni secondi, convinto che il ragazzo
lo avesse scambiato per qualcun’altro
che su quella stessa panchina svolgeva
qualche infame commercio. I trenta euro
gli avrebbero fatto comodo, eccome!
Avrebbe potuto comperarsi una decina di
bottiglie di lambrusco Grasparossa e
ubriacarsi come non gli succedeva da
tempo memorabile. Farselo succhiare da
un uomo non doveva essere la fine del
mondo, pensò, ma non ne era troppo
convinto. Respirando a fatica si lasciò
sfuggire una controproposta.
- E mettertelo nel culo?
No? - disse per sfida.
- Eh?
- Hai capito bene. Se non
te ne vai alla svelta prendo uno di quei
rami e te lo ficco nel culo!
- Ma... io, veramente
pensavo che tu.
- Che tu cosa? Te l'ho
detto, se ti fa piacere prendo un
randello e te lo sbatto nel culo.
Soddisfatto?
- Beh, mi scusi. - sbottò
il giovane congedandosi.
Mario tornò con la mente
alle sere in cui suo padre, che di
mestiere faceva l'ambulante, si
soffermava a conteggiare i soldi
guadagnati durante la giornata. Spesso
mamma lo rimproverava dicendogli che erano pochi.
I trenta euro che il
giovane gli aveva offerto gli avrebbero
fatto comodo. E poi non gli sarebbero
costati grande fatica, ma non era caduto
così in basso da mercificare il proprio
corpo, perlomeno non ancora.
Uscendo dal Parco Ducale,
in prossimità del cancello che
consentiva l'ingresso da Via Kennedy, fu
avvicinato da un altro ragazzo.
- Senti amico... - disse il
giovane.
- Mi spiace sono già
occupato.
- Occupato?
- Sì, hai capito bene.
- Ma... non capisco.
- Lo so, lo so.
Mario proseguì per la sua
strada senza girarsi indietro,
infischiandosene di ciò che avrebbe
pensato il ragazzo. Per un po' di giorni
smise di recarsi al parco. Cominciò a
frequentare Piazza del Duomo dedicandosi
a nutrire con briciole di pane i
piccioni che sostavano, numerosi, sui
gradini della Cattedrale.
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