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FACCENDE
DI CUORE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
L a
Settimana Nazionale della Cultura
accordava, perlomeno a tutte le persone
che ne facevano richiesta, la possibilità
di accedere in modo gratuito alle
strutture museali che avevano aderito al
progetto promosso dal Ministero per i
Beni Culturali. La notizia l’avevo
appresa leggendo la Gazzetta di Parma,
il quotidiano della mia città, e dopo
anni che non mettevo piede nel
monumentale Palazzo della Pilotta decisi
di fare visita alla Galleria Nazionale,
notoriamente ricca di dipinti e gruppi
scultorei di grande pregio artistico e
storico.
Una leggera brezza spirava
dalla montagna lungo il torrente che
attraversa la città quando,
in sella alla bicicletta, oltrepassai
Ponte Verdi diretta al Palazzo della
Pilotta. La giornata era primaverile, con la temperatura
dell'aria avvolgente quanto basta da
consentirmi di muovermi in giro per la
città con gonna corta, camicetta, e un
pullover annodato sulle spalle.
Sotto le antiche volte del
Guazzatoio sistemai la bicicletta a
ridosso di uno dei pilastri dell'antico
palazzo dei Farnese. Incartai il telaio
e una ruota con la catena antifurto e mi
ritrovai a salire l'ampia scalinata che
conduce all’interno del Palazzo della
Pilotta.
Il grandioso scalone a
forbice, a tre rampe, coperto da una
cupola ottagonale, dava accesso alla
Galleria Nazionale. Una volta acquisito
il biglietto d'ingresso andai dritta
verso il Teatro Farnese, sfruttato come
spettacolare e scenografico atrio
d'accesso alla rinnovata Galleria
Nazionale.
Attraversai l'ampia platea
del rinascimentale teatro e raggiunsi il
palcoscenico. Da quella posizione il
teatro appariva immenso per vastità ed
eleganza delle forme. Mi ritrovai
circondata da una gradinata di legno a
forma di grossa U capace d'ospitare
due-tremila persone.
Un cartello posto sul lato
destro del palcoscenico mi indicò il
cammino che avrei dovuto seguire per
accedere alle stanze espositive della
Galleria Nazionale. D'incanto mi
ritrovai a procedere lungo un percorso
con dipinti di Leonardo, Parmigianino,
Murillo, P. Brueghel, Bronzino, El
Greco, Caracci, Dossi, Tintoretto,
Guercino, Tiepolo, Correggio e molti
altri maestri della pittura.
A quell'ora, era di prima
mattina, la Galleria Nazionale era
pressoché deserta. Spostandomi da un
salone espositivo all'altro mi resi
conto di essere pressoché sola in
quell'ambiente sconfinato. Alcuni
addetti alla vigilanza, seduti sulle
sedie, facevano la cani da guardia alle opere,
anche se maggiormente concentrati nella
lettura di un libro o a risolvere
qualche cruciverba, piuttosto che
seguire i movimenti dei possibili
visitatori.
Al pensiero di ritrovarmi a
trascorrere la giornata su una di quelle
sedie, impegnata a vigilare opere
d'arte, nella solitudine di quei luoghi
austeri e freddi, mi venne da stare
male. Non avrei fatto quel tipo di
lavoro nemmeno se mi avessero pagato il
triplo dello stipendio che percepisco
come infermiera, ma ero certa che lo
stesso paragone se fatto al contrario
avrebbe avuto il medesimo esito.
Proseguii nel mio viaggio,
passando da un salone espositivo
all'altro, inseguita dagli occhi vigili
delle telecamere che facevano buona
guardia alla conservazione delle opere.
Quando mi trovai nell'ampio salone che
ospitava alcune celebri vedute di
Venezia, dipinte dal Canaletto e dal
Bellotto, mi avvidi della presenza di
due ragazze.
Sedute sopra un divanetto
dal tessuto scarlatto erano assorte nel
guardare una tela del Bellotto. Tutt'e
due reggevano sulle ginocchia un album
da disegno e tracciavano con la matita
il volto dell'uomo ritratto nel dipinto.
Erano poco più che
adolescenti e vestite in modo
convenzionale più di quanto la ero io.
Indossavano entrambi gonna corta e
T-short. Quella più lontana, rispetto
al punto dove mi ero intrattenuta a
guardarle, aveva i capelli raccolti con
un elastico verso l'alto che la faceva
assomigliare a un ananas. L'altra invece
li aveva lisci a cadere sulle spalle.
Mi soffermai a guardare il
tipo di scarpe che calzavano, e soltanto
allora mi accorsi che la ragazza con la
testa a forma di ananas si era tolta uno
dei sandali, mantenuti legati al piedi
con sottili strisce di cuoio, allacciati
oltre la caviglia, e con le dita carezzava amorevolmente il
polpaccio dell'altra ragazza.
Il viso di entrambe era
candido e privo di trucco, forse perché
nella solitudine di quel luogo non
avevano bisogno di nessun artificio per
maschera il loro rapporto d'amore, e
nemmeno di trarre in inganno le altre
persone nascondendosi.
Seguitai a guardarle
conquistata dalle carezze che la ragazza
con la testa a forma di ananas rivolgeva
con l'estremità del piede alla gamba
dell'amica. Nemmeno quando le fui vicina
cessò di lusingarla con leggeri tocchi
dell'alluce infischiandosene della mia
presenza.
Proseguii nella mia visita
al museo procedendo lungo l'itinerario
che si snodava attraverso splendide
sale. Infine mi ritrovai nella
parte della Galleria voluta da Maria
Luigia, moglie di Napoleone Bonaparte, e
oggetto di un recente restauro. Dopo
avere ammirato i ritratti della Schiava
Turca, opera del Parmigianino, la
Madonna di San Girolamo e la Madonna
della Scodella, tutt'e due opere del
Correggio, raggiunsi l'uscita.
Mezzogiorno era passato da
pochi minuti quando, in sella alla
bicicletta, attraversai di nuovo Ponte
Verdi e raggiunsi il Parco Ducale.
Eleonora se ne stava
sdraiata sul prato antistante il Palazzo
Ducale. La raggiunsi e abbandonai la
bicicletta accanto alla sua,
appoggiandola contro il tronco di un
albero di castagno, poi andai a
stendermi sul prato accanto alla mia
amica.
Avrei voluto scartarla come
si fa con un regalo, togliendole poco
per volta gli abiti di dosso, invece mi
deliziai a procrastinare quel momento
per scoprire cosa c'era custodito nella
confezione, ma tanto lo sapevo già.
Restammo a lungo sedute in mezzo al
prato a farci le coccole, stregate una
dell'altra. Sulla spinta delle ragazze
che avevo visto poc'anzi toccarsi nella
Galleria Nazionale, davanti a un quadro
del Bellotto, le dissi cosa provavo per
lei.
Eleonora rimase ad
ascoltarmi senza dire una parola,
guardandomi con i suoi occhi da lupa,
masticando il chewing-gum, fintanto che
cessai di parlare, poi mi confessò che
anche lei provava le stesse cose.
L'abitazione di Eleonora,
una mansarda ubicata in Borgo Santo
Spirito, distava pochi passi dal
Parco Ducale. Quando oltrepassammo la
porta dell'appartamento mi prese per
mano e mi accompagnò nella stanza da
letto. Mi mise le braccia intorno al
collo e mi baciò. Le sue mani erano
abili come un passpartout. Mi sbottonò
la camicetta, aprì la lampo della
gonna, la fece scendere, e rimasi in
balia della sua bocca e del suo sesso
per il resto della giornata.
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