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CLOCHARD
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico
adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il
contenuto possa offenderti sei
invitato a uscire.
Una
pioggerella sottile bagnava la città
dal primo pomeriggio amaro preludio alla
prima nevicata di stagione. Adelmo
occupava una panchina a una decina di
metri dalla chiesa di Santa Maria del
Quartiere. Un cappello con la tesa
abbassata gli nascondeva i lineamenti
del viso. Tutt'a un tratto sollevò il
bavero del cappotto e lo avvicinò alle
orecchie per proteggerle dal freddo. Da
una tasca tolse un involucro di
plastica, annodato all'estremità da un
elastico, e lo sistemò sulle ginocchia.
L'involucro
racchiudeva una mistura di tabacco
frutto dei mozziconi di sigarette
raccolti nei giorni precedenti per la
strada. Svolse una cartina da tabacco e
si accinse a mettere insieme una
sigaretta.
Mentre
distribuiva i frammenti di trinciato di
tabacco sulla sottile striscia di carta
bianca le mani gli tremavano per il
freddo. Arrotolò la cartina, né
inumidì un lembo, dopodiché lo
incollò alla superficie sottostante.
Tolse dalla tasca una scatola di
fiammiferi di legno e accese la
sigaretta.
Le prime
boccate di fumo consumarono in fretta
l'estremità della sigaretta. Adelmo
aveva gli occhi persi nel vuoto, al pari
dei suoi pensieri che parevano
dissolversi nell'aria come i cerchi di
fumo che gli uscivano dalle labbra.
Afferrò il
collo di una bottiglia di lambrusco,
sistemata sul terreno ai suoi piedi, e
l'avvicinò alle labbra, dopodiché
lasciò che il liquido gli scendesse
nello stomaco. Era la quarta bottiglia
di vino che svuotava da quando, di prima
mattina, si era messo per strada e
ancora doveva cenare, se mai ne avesse
avuto l’opportunità. Da sotto il
calzino tolse una piccola busta. Era
lercia e frantumata in più parti.
L'aprì e si mise a contare il denaro
che custodiva. Gli erano rimasti
soltanto tre biglietti da dieci euro.
Per qualche giorno non gli sarebbe
mancato il denaro necessario per
comperarsi da bere, poi avrebbe dovuto
arrangiarsi.
Adelmo viveva
per la strada da circa dieci anni. Tutto
aveva avuto inizio quando, a causa di un
incidente stradale, aveva trascorso
trenta giorni fra la vita e la morte
nella camera di rianimazione. Durante il
coma aveva varcato più volte la soglia
della vita e in quei momenti
d'incoscienza e torpore aveva potuto
guardarvi dentro senza trovarci
nulla.
Dimesso
dall'ospedale era tornato alla vita di
tutti i giorni e solo allora si era reso
conto che, così come l'aveva vissuta,
era priva di qualsiasi significato.
Senza perdere altro tempo aveva dato un
taglio netto al passato lasciandosi alle
spalle affetti, lavoro e carriera.
Da
mendicante si era messo alla ricerca di
una verità che potesse dare significato
alla propria esistenza, ma non l'aveva
trovata.
Conduceva una
vita da accattone vivendo d'elemosina.
Una barba incolta, ruvida e folta, con
striature di grigio, gli copriva il
viso. I capelli, un tempo corti e ben
curati, erano lunghi e raccolti dietro
la nuca con una fettuccia rossa.
Il suo corpo
emanava un puzza nauseante. Si lavava di
rado e la pelle aveva assunto un
colorito bruno. La gente lo evitava come
fosse appestato, ma lui non se ne doleva
perché si comportava allo stesso modo
nei loro riguardi.
Dopo
avere ricollocato il denaro nella scarpa
si sollevò a fatica dalla panchina.
Impiegò un po' di tempo a mettersi
dritto, ma non si perse d'animo. Fece
passare le corde dello zaino sulle
spalle e afferrò le due borse di
plastica ancorate ai suoi piedi.
Claudicante si avviò verso le strisce
pedonali che conducevano all'altro capo
della piazza, verso Via Imbriani.
Malfermo
sulle gambe avanzò con passo poco
sicuro. Indeciso sul da farsi arrestò
il cammino in corrispondenza del bordo
del marciapiede, dinnanzi alle strisce
pedonali.
- Ha bisogno di
aiuto? Vuole che l'assista
nell'attraversare la strada?
Sorpreso
dall'insolita offerta girò il capo
nella direzione da cui proveniva la
voce. Una ragazza se ne stava immobile
accanto a lui.
- Non abbia
timore l'aiuto io.
La ragazza
infilò la mano sotto un braccio di
Adelmo e lo accompagnò dall'altra parte
della strada, poi lo salutò e proseguì
nel proprio cammino.
Quando era
giovane il semplice contatto con un
corpo femminile gli avrebbe fatto
ribollire il sangue mettendolo
sottosopra. Stavolta, sfiorando l'esile
corpo della ragazza, non si era sentito
per niente confuso dalla sua vicinanza.
Anzi, l'umile gesto lo aveva persino
messo in imbarazzo facendolo sentire un
vecchio derelitto anche se di anni ne
aveva soltanto quaranta.
L'ultima
volta che aveva fatto sesso con una
donna era accaduto un paio di anni
prima, alla stazione ferroviaria. Quella
notte occupava una panca nella sala
d'aspetto allorché era stato avvicinato
da una ragazza.
- Cento sacchi
se te lo fai succhiare. - gli aveva
proposto la giovane.
- Cosa?
- Dai non fare
lo stronzo, hai capito bene. Ti regalo
cento sacchi se ti lasci fare una pompa.
Sorpreso
dall'insolita richiesta si era messo a
sedere sulla panca, dopodiché aveva
appoggiato i piedi per terra e aveva
posto la sua attenzione verso il viso
della ragazza. Lei indossava una
pelliccia di visone sbottonata sul
davanti. Un abito da sera, scollato a
punta, metteva in evidenza le forme
tonde delle tette. Ai piedi calzava una
paio di scarpe nere, lucide, con tacchi
a spillo, del tutto simili a stalattiti,
di almeno 10 cm. che ne affusolavano le
gambe.
Nella
sala d'aspetto a tenergli compagnia
c'era un gruppo di nordafricani; in
prevalenza marocchini e tunisini dediti
allo spaccio e a fare marchette.
Probabilmente anche loro si erano
stupiti nel vedere la ragazza
colloquiare con un barbone. E pure a lui
era parso strano che una ragazza, ricca
e carina, desiderasse fargli un pompino
retribuendolo con una cifra così
esagerata. C'era qualcosa d'anormale nel
comportamento della ragazza e non era
riuscito a capire cos'era.
- Va
bene, dai, ti do centocinquanta sacchi,
ma sbrigati a seguirmi nel cesso della
stazione che ho fretta.
Seppure
sorpreso non aveva declinato
quell'ultima offerta. E poi se lo
sarebbe fatto fare anche gratis il
pompino se la ragazza glielo avesse
chiesto.
Dopo essersi
allontanati dalla sala d'aspetto avevano
camminato sotto la tettoia della
pensilina del primo binario. Infine
avevano raggiunto l'area riservata al
personale viaggiante delle ferrovie.
Quando si erano trovati a transitare
dinanzi alla vetrata dell'ufficio che
ospitava gli agenti della polizia
ferroviaria, impegnati nel sottoporre a
interrogatorio alcuni extracomunitari
dalla pelle nera, nessuno dei poliziotti
aveva fatto caso alla sua
presenza.
La
ragazza gli era sembrata a proprio agio
nell'ambiente della stazione, come se
fosse solita frequentare quel luogo.
Superato uno degli magazzini che
ospitavano materiale per la manutenzione
ferroviaria la ragazza aveva messo piede
nella latrina riservata al personale
delle ferrovie. Lui si era accodato e
l'aveva seguita dappresso.
Tre
orinatoi incastonati nel muro occupavano
una intera parete dei servizi igienici.
L'ambiente, male illuminato, era
provvisto di due cessi alla turca
incassati nel pavimento dove era facile
accosciarsi per urinare e defecare. La
ragazza aveva messo piede per prima nel
locale e provveduto ad aprire una delle
porte dei servizi igienici, poi con un
gesto della mano lo aveva invitato ad
accomodarsi nel gabinetto insieme a lei.
Dentro al cesso Adelmo aveva provveduto
ad appoggiare le scarpe sull'appoggia
piedi della turca. La ragazza si era
messa in ginocchio davanti a lui. Un
istante dopo gli aveva sganciato la
cintura dei pantaloni e glieli aveva
fatti scendere sino alle ginocchia,
insieme alle mutande. Lui era rimasto in
piedi, impossibilitato ad appoggiare la
schiena a una parete, con gli occhi
fissi sul legno della porta lordata di
scritte oscene e tracce di escrementi.
La
ragazza, piuttosto eccitata, aveva
iniziato da subito a masturbarlo.
Stupito dal quel modo di fare Adelmo era
rimasto a osservare i movimenti della
mano che lo masturbava, per niente
sorpreso nel costatare che al polso la
ragazza indossava un orologio d'oro
massiccio.
L'uccello
non aveva avuto bisogno di stampelle per
diventare dritto, anzi aveva preso
subito vigore nonostante il lungo
letargo cui l'aveva costretto. La
ragazza gli aveva succhiato la cappella
con impegno nonostante la puzza che
emanava e la ricchezza di smegma.
Erano
trascorse molte settimane dall'ultima
volta che si era lavato ai bagni
pubblici di Via Bixio. La cappella gli
puzzava da fare schifo, increspata
com'era di sedimento d'urina, ma la
ragazza non ci aveva fatto troppo caso,
anzi, probabilmente era quello di cui
aveva bisogno per eccitarsi.
Sembrava
averci trovato gusto nell'annusare il
tanfo di cui era pregno l'uccello,
infatti, non aveva smesso un solo
istante di manovrare la lingua sulla
cappella mugolando di piacere come una
cagna in calore.
Da
accattone Adelmo non aveva mai preso in
considerazione l'idea di prostituirsi,
ma l'occasione che gli era capitata
quella notte era troppo ghiotta per
lasciarsela sfuggire e non aveva saputo
esimersi dal farlo.
Inginocchiata ai suoi piedi, col bordo
della pelliccia che sfiorava il
pavimento umido di piscio, la ragazza
aveva continuato a succhiargli l'uccello
sbuffando e ansimando per l'eccitazione
di trovarsi a gestire quella strana
situazione.
Adelmo le aveva sborrato in bocca
contraendo le natiche e irrigidendosi in
tutto il corpo. Lei aveva accolto lo
sperma fra le labbra, strizzandogli
l'uccello con la mano per non disperdere
una sola goccia della preziosa sostanza.
Portata a compimento la prestazione la
ragazza aveva raccolto la borsetta dal
pavimento e gli aveva fatto cadere nella
mano tre banconote da cinquanta euro,
poi se n'era fuggita via lasciandolo con
le gambe divaricate e le brache calate
sino alle ginocchia.
In seguito non aveva più avuto modo di
rivederla. Qualche settimana dopo il
fortuito accadimento aveva smesso di
frequentare la sala d'aspetto della
stazione ferroviaria. Il posto si era
fatto troppo pericoloso per lui,
soprattutto per la presenza di
tossicodipendenti disposti a tutto pur
di racimolare qualche biglietto da dieci
euro. Una sera in cui era più ubriaco
del solito alcuni extracomunitari lo
avevano picchiato e derubato del poco
denaro che portava indosso e lo avevano
abbandonato, semisvenuto, sul pavimento
accanto alla biglietteria.
Attraversata la strada sulle strisce
pedonali, in compagnia della ragazza che
si era offerta di accompagnarlo,
s'incamminò verso il centro della
città. La mensa dei poveri di Padre
Lino, presso la chiesa della S.S.
Annunziata, avrebbe aperto i battenti
soltanto alle 18.00.
Le
vetrine dei negozi addobbate per il
Natale illuminavano i marciapiedi
bagnati di pioggia. Mancava ancora un
mese alla festività eppure la gente
già sostava dinanzi alle vetrine
disquisendo sull'opportunità dei regali
da fare.
Adelmo camminava sul marciapiedi
caracollando. La gente scorgendolo gli
stava alla larga, quasi si trattasse di
un lebbroso e non di un povero
mendicante.
In poco
tempo raggiunse il cortile della chiesa
della S.S. Annunziata dove aveva sede la
mensa dei poveri. Salutò Orlando e la
Gina, le uniche persone che conosceva,
gli altri erano tutti nord africani
oppure gente dell'est Europa. Era
trascorso più di un mese dall'ultima
volta che aveva messo piede lì. Durante
tutto questo tempo era sopravvissuto
sfamandosi con il cibo recuperato nei
cassonetti delle immondizie, soprattutto
quelli in prossimità dei supermercati,
sempre ricchi di scarti ancora buoni da
mangiare.
Aveva voglia di mettere qualcosa nello
stomaco e alla mensa di Padre Lino gli
sarebbe stato servito un pasto caldo.
Gocce di pioggia frammiste a nevischio
cominciarono a cadere nel cortile
dell'oratorio imbiancando il selciato.
Quando mise piede nel salone della mensa
i tavoli erano già occupati per metà
da persone impegnate a consumare il
pasto. Dopo avere ricevuto una pagnotta
di pane e una scodella di minestrone si
avvicinò al punto dove venivano
distribuite le pietanze. Una inserviente
gli porse un piatto con una coscia di
pollo. Era giovane, carina, e gli fece
un sorriso. Adelmo, come sua abitudine,
non contraccambiò il gesto di cortesia,
andò ad accomodarsi a un tavolo,
all'estremo angolo del salone, poco
distante dal punto in cui avevano preso
posto Orlando e la Gina.
Una scodella di minestrone caldo era
ciò di cui aveva bisogno per
riscaldarsi. Non gustava il sapore di un
piatto caldo da molto tempo, ma la
vicinanza di tante persone lo metteva a
disagio. Trangugiò fino all'ultima
cucchiaiata la porzione di minestrone,
raschiando il fondo della scodella con
un tozzo di pane. Inumidì la superficie
esterna delle labbra con la punta della
lingua e asportò i residui del pasto
soddisfatto del cibo che aveva
consumato.
Quando uscì dalla mensa dei poveri
grossi fiocchi di neve scendevano dal
cielo. Le luci dei negozi che soltanto
un'ora prima avevano reso gioiosa la
strada erano spente. Qualche raro
passante transitava lungo i marciapiedi
ricoperti da un sottile strato di neve.
- Dove
vai?
A
pronunciare la frase era stata Gina. La
donna stava appoggiata con la schiena
contro uno dei pilastri di sostegno del
portico che consentiva l'ingresso al
cortile della mensa.
- Ma tu
cosa ci fai qui? Non eri insieme a
Orlando?
- Sì, ma
lui non aveva niente da bere. Tu invece
sono sicura che ne hai, vero?
Adelmo
calcò la tesa del cappello sulla fronte
per ripararsi dalla neve. Fece alcuni
passi, poi girò lo sguardo verso la
donna.
- Dai,
vieni con me, seguimi.
La
nevicata si era fatta più fitta. Quando
raggiunsero il Ponte di Mezzo lo strato
di neve depositato sui loro abiti si era
fatto consistente impregnando gli abiti
d'acqua.
Camminarono affiancati uno all’altra
occupando per intero il marciapiede.
Dietro, alle loro spalle, non c'era
nessuno; soltanto le loro ombre.
Attraversarono Via Farini propensi a
raggiungere Viale Maria Luigia. Adelmo
teneva lo zaino infilato sulle spalle e
stringeva nelle mani due sacchetti di
plastica. Gina si portava appresso una
sporta di tela e un sacchetto di
plastica. Una sciarpa di lana le
avvolgeva il capo riparandola solo in
parte dalla fitta nevicata.
Quando si trovarono davanti alla
saracinesca di un negozio di mercerie
Adelmo arrestò il passo.
-
Prendiamo questo cartone! Ci servirà
per ripararci dal gelo della notte.
Ripiegarono il cartone da imballo e lo
trascinarono dietro sé fino al
sottopasso stradale distante un
centinaio di metri.
Il
posto era privo di luce. Poche persone
osavano attraversare il sottopassaggio,
specie durante la notte, per paura di
essere aggrediti, ma Adelmo e la Gina
non avevano con sé beni di valore, di
prezioso avevano soltanto la vita.
Distesero i cartoni sul pavimento, bene
a ridosso di una parete, rendendo
l'umile giaciglio somigliante a un
letto. Spossati si sdraiarono sopra il
cartone da imballaggio e si strinsero
l'uno all'altra.
Ambedue avevano gli abiti bagnati
fradici. Avrebbero dovuto liberarsene e
metterli ad asciugare, ma non avevano
altri abiti di ricambio con sé e il
sottopassaggio era il rifugio migliore
per trascorrerci la notte.
-
Dai, beviamo un po’ di vino, ci
riscalderà. - suggerì Gina.
Adelmo
prese da una tasca dello zaino una
confezione in tetrapak di Chianti e
l'avvicinò alla bocca. Con un colpo
secco dei denti strappò un angolo
dell'involucro. Tutto d'un fiato bevve
alcune sorsate di vino, poi passò la
confezione a Gina che non si fece
pregare a bere la bevanda. In poco tempo
svuotarono la confezione di tetrapack.
Semiseduti, addossati l'uno all'altra,
si scambiarono quel poco di calore che
usciva dai loro corpi. Tutt'a un tratto
la mano di Gina s'infilò fra le cosce
di Adelmo. Fece scendere la cerniera
della patta e strinse l'uccello nella
mano. Lui la lasciò fare persuaso che
le facesse piacere toccarlo in quel
modo. L'ultima donna che glielo aveva
stretto fra le dita era stata la ragazza
conosciuta alla stazione ferroviaria,
dopo quella sera non aveva più avuto
occasioni di contatto con nessun'altra
donna. In quella occasione la ragazza
glielo aveva succhiato per soddisfare
una voglia di trasgredire. Gina, invece,
gli stava facendo la sega perché era il
solo modo che conosceva per esprimergli
riconoscenza della bevuta.
Gina
aveva la stessa età di Adelmo. Lui la
considerava alla stregua degli altri
compagni di strada maschi con cui
condivideva il viaggio della vita.
Adelmo si lasciò cadere sul letto di
cartone e si stese supino mentre Gina
glielo menava.
Il
freddo si era fatto più pungente. Nel
sottopassaggio filtrava un'aria gelida.
La mano di Gina ebbe la meglio sulle
resistenze dell'uccello di Adelmo che
sembrava non volerne sapere
d'inturgidirsi. Era esperta in quel tipo
di prestazioni, le era capitato più
volte di concedersi a qualche marocchino
per pochi euro. Ma prostituirsi lo
faceva raramente, soltanto quando le
andava di farlo o perché, priva di
risorse, aveva necessità di procurarsi
un po' di denaro per mangiare.
Da tempo
Adelmo aveva rimosso dalla mente ogni
possibilità di contatti sessuali con le
donne, ma la sega che la Gina gli stava
facendo con tanta premura gli risvegliò
i sensi. La mano gelida della donna
incominciò a scorrere sulla cappella
strofinandola.
Adelmo venne quasi subito, sborrandosi
addosso. Qualche fiotto di sperma andò
a depositarsi sul cappotto. Non si diede
cura di asportarlo e lasciò che gli
insudiciasse la stoffa. Gina pulì la
mano imbrattata di sperma sul letto di
cartone e si strinse a Adelmo tremante
per il freddo.
Si
addormentarono stretti l'uno all'altra.
E' in quella posizione che i netturbini
li ritrovarono la mattina seguente:
erano tutt'e due congelati. Durante la
notte la temperatura dell'aria era scesa
fino a 20 gradi sotto zero. La morte non
li aveva colti impreparati, da tempo
l'aspettavano. Era la loro ombra.
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