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BUONO
DI CUORE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Uscendo
dagli uffici dell'agenzia di
assicurazioni di cui era il titolare si premurò di salutare le due
impiegate alle sue dipendenze con un:
"Arrivederci! Ci vediamo lunedì",
dopodiché si mise alla guida del Bmw.
Il sole era prossimo a
scomparire oltre la linea
dell'orizzonte, colorando di rosa e
arancio il sottile strato di nubi
presenti nel cielo, quando si trovò a
percorrere la tangenziale. Da un paio di
anni non viveva più in città, ma
occupava una villetta a schiera distante
una decina di chilometri dal capoluogo,
un agglomerato di ville mono e
bifamiliari, tutte uguali, costruite a
ridosso del Parco Regionale dei Boschi
di Carrega.
Un giardino fiorito di
gerani bianchi, pigmentati di rosa,
conferiva alla sua residenza un aspetto
gaio, come se una mano femminile ne
avesse avuto cura.
Appena mise piede dentro
casa sciolse il nodo alla
cravatta, si liberò degli abiti che
aveva indosso, e rimase nudo. Infilò ai
piedi le pantofole di raso rosso,
guarnite con pompon bianchi, che era
solito calzare quando non aveva ospiti
per casa e indossò la vestaglia di seta
indiana.
Il vezzo di calzare scarpe
da donna era molto più che una innocua
distrazione. Infatti, si sentiva femmina
a tutti gli effetti, anche nelle più
innocenti delle manifestazioni come
quella di calzare pantofole munite di
pompon.
In piedi, davanti alla
specchiera, accarezzò l'areola di un
capezzolo con i polpastrelli delle dita
fintanto che l'apice diventò turgido.
Avrebbe pagato qualsiasi cifra per avere
un bel paio di tette, invece l'unica
sporgenza che padroneggiava nel suo
corpo era il pene, fra l'altro più
grande del normale, che gli penzolava
fra le cosce e gli veniva buono soltanto
per fare la pipì.
Mise piede nel box della
doccia e ci rimase dentro il tempo
necessario per levare dalla pelle le
tracce di sudore che aveva addosso.
L'accappatoio di spugna servì a
eliminare le residue gocce d'acqua
rimaste sul corpo dopo la doccia. Spruzzò
sulla pelle umida una emulsione
idratante e si soffermò a massaggiare
cosce e gambe. Gli piaceva conservare la
pelle fresca e morbida come è abitudine
di qualsiasi donna.
Camillo era un tipo
longilineo con fianchi stretti, torace
poco sviluppato, e spalle scarsamente
sporgenti. Indossò un perizoma
trasparente, in tinta unita, dello
stesso colore rosa del reggiseno,
imbottito con gomma piuma, che in
precedenza si era premurato di togliere
da uno dei cassetti del comò insieme al
tanga.
L'intimo gli stava a
pennello sulla pelle. Si sentiva a
proprio agio con l'indumento femminile
addosso, anche se trovava d'impiccio la
sottile striscia di tessuto del perizoma
che dal fondo schiena si estendeva fino
allo scroto.
La pelle abbronzata e
l'intimo rosa lo facevano sembrare una
gran figa, perlomeno così si vedeva
allo specchio. Roteò i fianchi su se
stesso, più volte, soddisfatto della
scelta dell'intimo.
Prima d'iniziare a
truccarsi il viso diede una pennellata
di smalto alle unghie dei piedi e delle
mani. Cosparse il viso e il collo con un
fondotinta marcato per camuffare le
tracce dei peli della barba. Un tocco di
fard sulle guance le rese più rosee.
Il pomo d'Adamo, nota
dolente del suo corpo di maschio, era
ben evidente e non c'era alcun modo per
mascherarlo. Avrebbe potuto mettere un
foulard attorno al collo, ma l'idea
pareva non soddisfarlo del tutto. Terminò
di truccarsi appiccicando delle ciglia
finte agli occhi e del rossetto sulle
labbra.
Ormai era pronto per uscire
di casa. Indossò le autoreggenti e le
agganciò al reggicalze. Per l'occasione
indossò un costosissimo abito da sera
nero, lungo fino ai piedi, con un'ampia
spaccatura laterale che ne metteva in
evidenza la coscia lunga e affusolata.
Per ultimo calzò un paio di scarpe
nere, lucide, con un tacco da 10.
Per molti anni, lontano da
occhi indiscreti, aveva passeggiato fra
le mura domestiche calzando scarpe di
quel tipo. Ormai camminava in modo
spigliato, senza ondeggiare, anche se
c'erano voluti anni di faticosi esercizi
per ottenere quel risultato.
Per ultimo, prima di uscire
di casa, pose intorno al collo una
collana di perle. Agganciò con delle
clips un paio di orecchini ai lobi delle
orecchie, e indossò una parrucca a
caschetto di capelli lisci e scuri
simili a quelli della Valentina di
Crepax.
Il Nautilus il locale dove
avrebbe trascorso la serata si trovava
nell'Oltretorrente, poco distante dal
Parco Ducale, uno dei quartieri più
turbolenti della città, popolato da
extracomunitari, studenti universitari e
anziani rimbecilliti.
Camillo non aveva mai messo
piede al Nautilus. Era venuto a
conoscenza dell’esistenza del locale
attraverso un cartoncino pubblicitario
rinvenuto nella buca delle lettere. La
cosa lo aveva incuriosito spronandolo,
di fatto, a visitarlo.
Mezz'ora prima di
mezzanotte uscì dal portone di casa
vestito con abiti femminili. Era
eccitato e non stava nella pelle tanta
era l'eccitazione che si portava
addosso.
La sera non era come tutte
le altre. Era la vigilia del novilunio,
momento in cui la luna si congiunge con
il sole. Dopo avere girovagato a lungo
per i borghi dell'Oltretorrente trovò
da parcheggiare il Bmw a Barriera S.
Croce, a una certa distanza dal locale
dove era diretto. Scese dalla vettura,
mise la borsetta tracolla, e s'incamminò,
sculettando, per Via D'Azeglio.
A quell'ora la strada era
pressoché deserta. La luce dei lampioni
penetrava il suo corpo mentre camminava
producendo sull'asfalto un'ombra
femminile: la sua.
Camminare vestito con abiti
femminili, in pieno centro storico, era
ciò che si era ripromesso di fare da
molto tempo e quella era la prima volta
che accadeva. Non mostrava nessuna
incertezza nel camminare sui lastroni di
marmiglia del marciapiede. Si muoveva
con eleganza nonostante calzasse scarpe
dai tacchi a spillo. Dinoccolava le
anche in maniera provocante attirando su
di sé gli sguardi degli uomini che a
quell'ora transitavano con le loro
autovetture per la strada.
Qualche automobilista,
scambiandolo per una donna, rallentò la
corsa e lo fece segno di sagaci
apprezzamenti. Camillo non mancò di
apprezzare quel tipo di attenzioni,
infatti, essere scambiato e desiderato
come una donna lo eccitò parecchio.
Sotto i portici
dell'Ospedale Vecchio, nella semioscurità
dell'antico palazzo rinascimentale,
interruppe la camminata. Riassestò le
calze stirando le autoreggenti verso
l'alto, poi proseguì nel suo cammino.
Il locale dove era diretto
aveva ospitato, in un recente passato,
un laboratorio per la produzione di
aceto balsamico, soltanto di recente era
stato ristrutturato e riadattato a
caffetteria.
Prima di decidersi a fare
visita al Nautilus si era premurato di
chiedere notizie ad alcuni conoscenti in
merito al tipo di clientela che
frequentava la caffetteria. Tutti gli
avevano confermato che il Nautilus era
un locale underground, ma che di
alternativo aveva solo la fama perché
era frequentato in massima parte da una
clientela piuttosto snob.
Mancava poco a mezzanotte
quando prese posto a uno dei tavoli. Il
locale, contrariamente all'idea che si
era fatto, non era granché affollato.
Si sarebbe riempito più tardi, pensò,
con le esibizioni degli artisti, così
come era riportato nella locandina
affissa a una parete all'ingresso del
locale. Perlomeno questo fu ciò di cui
si convinse.
- Prende qualcosa? - disse
la cameriera che gli si avvicinò per
ricevere l'ordinazione.
Camillo si era esercitato a
lungo nell'impostare il timbro di voce
in modo da farla sembrare femminile.
Dalle labbra gli uscirono solo poche
parole articolate in falsetto.
- Un drink di fragole e
arancio con whisky. Grazie.
La cameriera abituata ad
avere a che fare con una clientela
eccentrica, com'era quella che
frequentava il locale, prese nota
dell'ordinazione senza dare nessuna
importanza al look di Camillo.
Indossare indumenti
femminili in pubblico, senza essere
additato a frocio o peggio ancora
deriso, l'aveva liberato dalla paura che
si portava appresso dal momento in cui
era uscito di casa. Cominciò a
guardarsi attorno scrutando i volti
delle persone che occupavano i tavoli
accanto a lui.
Il locale era tetro per la
presenza di affreschi alle pareti che
raffiguravano angeli del male e spiriti
maligni. Un significativo numero di
monitor, sostenuti al soffitto da
pensili, emanavano bagliori di luce dai
tubi catodici, unica fonte di luce
dell'ambiente. Sugli schermi apparivano
immagini di videoclip, mentre la musica,
non troppo assordante, era diffusa dalle
casse acustiche poste in vari punti
della ex fabbrica per la produzione di
aceto balsamico.
Camillo era un tipo
superstizioso. Credeva nel malocchio e
al polso indossava una catenella con un
amuleto che tempo addietro una anziana
veggente, praticante la magia nera, gli
aveva procurato e da cui non si era mai
distaccato. Anche quella sera la portava
con sé nonostante le sembianze
femminili.
La cameriera fece ritorno poco
dopo. Depose sul piano del tavolo il
drink e ghiaccio, poi si allontanò per
fare ritorno al bancone del bar. Dalla
posizione in cui Camillo aveva preso
posto, in un angolo del locale, vicino
alla pedana degli spettacoli, poteva
scrutare le persone sedute ai tavoli e
loro potevano vedere lui.
Prima d'iniziare a
sorseggiare la bevanda alcolica tolse
dalla borsetta il pacchetto delle
Marlboro, accavallò le cosce e accese
una sigaretta. Diede alcune boccate di
fumo poi assaporò il drink.
L'attenzione gli cadde sugli affreschi
alle pareti. Solo allora fece caso che
ciascuna delle scene ritratte alle
pareti era accompagnata da una frase
latina di cui, nonostante l'impegno, non
fu in grado di capirne il significato.
All'estremità della sala
fece eco un gran rumore. Un uomo si
precipitò nella direzione in cui
Camillo era seduto e per poco non investì
il tavolino. Era un individuo bruno, sui
quarant'anni, gli occhi neri, con dei
grossi baffi e una profonda cicatrice
sulla fronte. Si affrettò verso la
mescita e sparì alla vista di Camillo.
Poco alla volta la sala si
riempì di persone. Camillo cominciò a
sentirsi a proprio agio in quel luogo.
Prima di metter piede nel locale non
aveva preso in considerazione
l'eventualità di fare conoscenza con
qualcuno interessato a lui, né tanto
meno di portarselo a letto. Quello di
cui aveva bisogno era di essere
considerato una donna a tutti gli
effetti dalla gente che affollava il
locale.
Verso l'una i monitor
furono spenti, una serie di faretti
illuminò la pedana degli spettacoli.
Alcuni attori si esibirono in un
divertente cabaret. Stava seguendo
l'esibizione degli artisti quando l'uomo
con la cicatrice fece di nuovo la sua
comparsa nella sala.
Nella mano stringeva un
bicchiere semivuoto. Si fermò al tavolo
occupato da Camillo e, senza chiedergli
il permesso, prese posto su di una sedia
lasciata libera di fronte a lui. Guardò
attentamente Camillo, dopodiché biascicò
poche parole.
- Quel coso che hai al
polso cos'è?
- Un portafortuna, me ne ha
fatto dono una chiaroveggente tanto
tempo fa.
Camillo aveva risposto con
qualche esitazione alla domanda esibendo
un timbro di voce femminile. Era la
seconda volta che gli succedeva durante
la serata.
- Praticava magia nera?
La domanda lo prese alla
sprovvista, ma rispose con naturalezza.
- Fra la gente c'era chi lo
sosteneva. Bruciava incenso e invocava
il signore delle tenebre. Spesso diceva
di essere posseduta da Satana. In mia
presenza si è lasciata andare parecchie
volte a descrivere veri e propri atti
sessuali come se fosse lei stessa la
protagonista di quelle orge.
L'uomo prese fra le dita
l'amuleto e lo guardò con molta
attenzione rigirandolo da ambo i lati,
poi mostrò a Camillo il bicchiere vuoto
come se simboleggiasse qualcosa, infine
pronunciò poche parole
- Se ne vada, fintanto che
è in tempo.
L'uomo corrugò la fronte
mettendo in risalto la grossa cicatrice,
poi senza dare alcun'altra spiegazione
abbandonò la sedia e si dileguò.
Camillo non fece troppo caso alle parole
pronunciate dal singolare visitatore,
incuriosito dalle grazie di una graziosa
trans che aveva preso posto sulla pedana
e stava esibendosi nella danza del
ventre. Nel momento in cui terminò di
bere il drink di frutta e whisky gli
prese una strana irrequietezza. Si
sentiva confuso, debole, e privo di
difese.
Si alzò dal tavolo e andò
dritto verso la toilette per
rinfrescarsi. Quando fu dinanzi alle
porte del W.C. aprì l'uscio dei maschi.
Soltanto quando vide gli orinatoi
incastonati alla parete si accorse dello
sbaglio che aveva fatto. Tornò sui suoi
passi e s'infilò nella toilette delle
signore.
Aveva voglia di pisciare e
darsi una rinfrescata al viso e alle
mani. Superato il vestibolo entrò in
uno dei cessi alla turca, sfilò il pene
da sotto la gonna e un lungo getto
d'urina schizzò nel vaso di ceramica
incassato nel pavimento su cui le donne
erano solite accosciarsi.
Svuotata la vescica si sentì
meglio, tornò nell'antibagno e aprì il
rubinetto dell'acqua fredda del
lavandino. Stava rinfrescandosi i polsi
quando avvertì la presenza di qualcuno
dietro di sé. Girò il capo e vide un
uomo.
Indossava un frac e
mostrava d'avere una trentina d'anni,
non di più. Era bellissimo.
- Ti aspettavo. - disse.
- E tu da che parte salti
fuori?
- Sono sempre stato qui,
accanto a te.
- Impossibile, ti avrei
visto.
- Ti seguo da molto tempo,
dal giorno che Maria la veggente ti
diede in regalo l'amuleto, ricordi.
- Ma come fai a sapere
questo.
- Io so tutto e vedo tutto.
- Ma...
- Desideravi essere donna e
ti ho accontentato. Ora dimostralo anche
agli altri, sono di là che aspettano
te. Non facciamoli attendere.
L'uomo aprì l'uscio e
precedette Camillo che lo seguì
obbediente nella sala incapace di
ribellarsi. Si ritrovarono uno di fronte
all'altro sulla pedana degli spettacoli
coi faretti delle luci puntati addosso.
Nel locale regnava
l'assoluto silenzio. La musica era
cessata, quello che si udiva era
soltanto qualche timido brusio di voci
che proveniva dalla folla di gente
seduta ai tavoli intorno alla pedana.
L'uomo in frac stava
davanti a Camillo e guardava nella
direzione del pubblico come se stesse
attendendo un segnale dai convenuti.
Camillo non si scompose, dominato da una
forza misteriosa gli prese un impulso
incontrollato di essere sodomizzato da
chi per primo si fosse fatto avanti. Si
liberò di gonna e mutande, si mise
carponi sulla pedana col culo bene in
vista, pronto a essere penetrato.
L'uomo in smoking si tirò
da una parte, lontano dai riflettori.
Altri uomini si avvicinarono a Camillo e
presero posto sulla pedana. Uno di loro,
dopo essersi inumidito le dita di
saliva, gliene ficcò un paio nel culo.
Camillo ebbe un sobbalzo per il dolore,
inarcò le natiche verso l'alto e restò
in febbrile attesa d'essere inculato.
Niente ormai gli appariva
strano, nemmeno il delicato odore
d'incenso che si stava diffondendo nel
locale. Camillo non poteva saperlo, ma
la cerimonia era iniziata dal momento in
cui aveva messo piede nel locale e ora
stava entrando nella fase finale. Allentò
i muscoli dello sfintere dell'ano in
modo da facilitare l'ingresso del pene
nel culo. La cappella giunse in
profondità, dilatando l'intestino
oltremisura, provocandogli un grido di
dolore.
L'ospite cominciò a
muovere meccanicamente il cazzo
alternando colpi in profondità ad altri
in cui lo estraeva per penetrare di
nuovo il culo di Camillo, appagato a sua
volta del piacere che gli procurava il
passaggio del pene nella mucosa del
retto.
L'ospite venne e gli sborrò
nel culo. Un altro ospite prese il posto
di chi lo aveva appena inculato, dopo ne
subentrò un altro e un altro
ancora. Infine giunse il turno dell'uomo
con la cicatrice che sembrava avere un
pene fuori dell'ordinario tanto da
provocare a Camillo urla di dolore
mentre veniva sodomizzato.
Camillo era sfinito. L'ano
gli sanguinava e avvertiva un grande
bruciore alle viscere. Dal pubblico si
avvicinarono alcune donne. Gli tolsero
di dosso ogni indumento e pure la
parrucca che aveva mantenuto per tutto
il tempo sul capo. Lo misero supino sul
pavimento e gli incatenarono polsi e
piedi. Una nenia angosciante salì
dall'assemblea di persone che gli
gravitava d'intorno.
Una donna si fece largo fra
gli astanti disposti a cerchio. Nelle
mano manteneva un pugnale in bella
vista. S'inginocchiò di fianco a
Camillo e volse lo sguardo in direzione
dell'uomo in smoking. Un cenno del capo
da parte di quest'ultimo e la donna
trafisse con la lama il torace di
Camillo. Ne estrasse il cuore, grondante
di sangue, e lo porse all'uomo in
smoking che lo avvicinò alle labbra. I
convenuti si precipitarono sulle membra
di Camillo e lo divorarono ancora caldo.
E' trascorso più di un
mese da quando Camillo è scomparso.
Quella che sta per avvicinarsi è una
notte di luna piena, nell'ex fabbrica di
aceto balsamico i convenuti sono in
attesa di un nuovo ospite.
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