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A
FELICITADE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Ho
fatto conoscenza di Ivonne all’incirca
un anno fa. Dopo quell'episodio la mia vita è
cambiata radicalmente. Stavo facevo
acquisti al supermercato quando il mio
carrello della spesa entrò in
collisione col suo.
- Mi scusi. - dissi,
convinto che l'urto fosse originato da
una mia disattenzione. Un lieve
ammiccamento del labbro superiore di
Yvonne, seguito da un ampio sorriso, mi
fecero intendere che le scuse erano
state accettate.
- Noi ci conosciamo, vero?
- disse.
- Cosa? - risposi,
bloccando il carrello della spesa.
- Sì... insomma, lavori in
ospedale o sbaglio?
- Ma lei come fa a saperlo?
- dissi dandole del Lei e non del Tu.
- Anch'io lavoro in
ospedale. Sono diplomata infermiera
professionale.
La guardai con curiosità
cercando di ricordare in quale occasione
l'avevo
già incontrata come asseriva lei.
Mostrava d'avere una quarantina d'anni o
poco più, sicuramente qualcuno meno dei
miei. I lineamenti arrotondati del corpo
si coniugavano con l'aspetto ordinato
del vestire. I seni sembravano uscirle
dall'ampia scollatura della camicetta,
tanto apparivano prorompenti, e
le conferivano un aspetto materno.
- Ah, bene. - dissi. -
Allora siamo colleghi! Il mio lavoro è
quello di
tecnico di radiologia.
- Sì, lo so. - rispose.
- In che clinica lavori?
- Nella divisione di
chirurgia vascolare. Presto servizio in
sala operatoria.
- Sei strumentista?
- Sì.
- Allora spero di non
finire sotto le grinfie dei tuoi
ferri chirurgici. - dissi sorridendo.
Messa in soggezione dalle
mie parole abbassò lo sguardo verso la
scanalatura dei seni, poi alzò il mento
e tornò a sorridere.
- Non credo possa accadere
a breve termine. Sono in aspettativa
post-parto.
Una smorfia di disappunto
partì dal margine destro della mia
bocca e mi percorse la guancia. Yvonne
non ci fece caso, poiché manteneva gli occhi
puntati sul mio carrello della spesa,
distratta nell'osservare quali fossero i
miei acquisti.
- E' il primo figlio?
- No, è il secondo. Sono
già mamma di una femmina, ma quella
ormai è grande. Ha vent'anni.
- Hai lasciato trascorrere
parecchio tempo prima di deciderti a
mettere al mondo un altro figlio.
- E' giunto del tutto
inaspettato, infatti, alla mia età non
pensavo di restare incinta una seconda
volta, ma è stato comunque il
benvenuto.
- E il suo nome qual è?
- Benvenuto!
- Ma dai, scherzi?
- No, dico sul serio. Perché,
non ti piace?
- Mi piace tantissimo.
Penso che da adulto sarà felice di
sapere che è stato tanto desiderato, o
sbaglio?
- No, dici bene.
- Forse dovremmo
presentarci, non credi? Io mi chiamo
Lorenzo e tu?
- Yvonne.
- Bel nome. Si chiamano così
molte donne francesi.
- In effetti, le mie
origini sono francesi. Mia madre
perlomeno lo è.
Yvonne mi trattenne a lungo
a parlare dei genitori emigrati in
Francia e del successivo ritorno a Parma
con l'intera famiglia, dopodiché mi
lasciò libero.
- Ora debbo andare. -
disse. - Ho lasciato Benvenuto in
custodia a mia figlia Denise. Oggi non
è al lavoro, così ne ho approfittato
per uscire di casa per fare degli acquisti. Mi
ha fatto piacere conoscerti, davvero.
- Sentiamoci ancora, se ti
va. - dissi.
- Ti lascio il numero del
mio cellulare, se vuoi.
Levai il portafoglio dalla
tasca e annotai il numero sul retro di
un biglietto da visita. Lei fece lo
stesso scrivendo il mio su una agenda
che si premurò di togliere dalla
borsetta. Salutai Yvonne con la promessa
di risentirci al più presto e così
avvenne, infatti, qualche giorno più
tardi il mio telefono di casa squillò.
- Pronto! - risposi.
- Ciao! Sono Yvonne. Ti
ricordi di me?
La domanda mi colse di
sorpresa, non avevo più pensato a lei
dopo che c'eravamo incontrati al
supermercato. Sbadato come sono nemmeno
ricordavo dove avevo riposto il
foglietto su cui avevo scritto il numero
del suo cellulare.
- Come potrei dimenticarmi
di te. - mentii. - Stavo giust'appunto
pensando di telefonarti nei prossimi
giorni.
- Come va? Tutto bene?
- Sì certo! Il bimbo
piuttosto?
- Cresce che è una
meraviglia, mi piacerebbe fartelo
conoscere.
- Beh, alla prima
occasione.
- Magari potresti venire a
trovarmi a casa mia uno di questi
giorni.
- E tuo marito ne sarebbe
contento?
- Non ho marito.
- Ah, scusa, ti pensavo
sposata.
- Lo sono stata, tempo fa,
poi ci siamo separati. Ho cresciuto
Denise da sola, con l'aiuto di mia
madre. Ti assicuro che non è stata
un'impresa facile, ma ci sono riuscita.
Dopo quella rivelazione
pensai fosse poco opportuno chiederle
qualcosa a proposito del padre di
Benvenuto, ma fu lei a rivelarmelo
qualche istante dopo.
- Benvenuto è giunto
inaspettato. Marco, il padre, è sposato
e lavora nel medesimo comparto
chirurgico in cui presto servizio. Lui
è medico e avrebbe voluto che me ne
sbarazzassi, ma ho preferito non
abortire e fra i due ho scelto di
perdere Marco anziché il bambino. Bel
tipo, eh? Ora mi evita e non mi rivolge
nemmeno la parola. Forse avrà paura che
riveli a qualcuno la paternità di
Benvenuto mettendolo nei guai con la
moglie, compromettendogli la carriera.
- Bella storia la tua. Io
non ho una compagna, ma soltanto
avventure con donne che mi lasciano ogni
volta più solo di prima. E' questa la
ragione per cui preferisco cavalcare una
bici da corsa, almeno quella non mi
tradisce mai.
- Non è vero. Anche quella
ti mette a terra quando fori una delle
camere ad aria. Ti sarà capitato, no?
- E' rilassante pedalare.
Andare in bici mi libera la mente e mi
trasmette le medesime emozioni che provo
quando scrivo racconti.
- Ma dai, dici davvero?
Scrivi racconti? È stupendo!
- Poca roba, però scrivere
mi aiuta a conoscere meglio me stesso più
di una seduta con uno psicoterapeuta.
- Non deve essere facile
penetrare la realtà che ci sta attorno
e raccontarla. Hai pubblicato qualche
libro?
- Scherzi? No, non ho
questa ambizione. Le mie storie le edito
su internet, in questo modo chiunque può leggerle.
- Mi piacerebbe dare
un'occhiata a qualche tuo racconto, ma
non ho il computer.
- Se t'interessa posso
stamparti qualche racconto su carta.
- Mah, vedremo.
Restammo al telefono per
parecchio tempo, e lo stesso accadde la
sera successiva e quella dopo ancora.
Dopo una settimana di conversazioni
telefoniche, mi propose d'andare a
trovarla a casa sua e accettai.
Il condominio dove abita si
trova in un quartiere popolare alla
periferia della città, in direzione La
Spezia, poco distante dal Palasport.
Parcheggiai il Fiat Doblo furgonato
nell'ampio piazzale antistante
l'edificio di sette piani dove
alloggiava. Appresso mi ero portato una
pianta d'appartamento a foglie larghe da
darle in dono.
- Chi è? - chiese la donna
dopo che dalla strada ebbi premuto il
pulsante del citofono.
- Sono io, Lorenzo. - dissi
avvicinando la bocca alla grata
metallica del citofono a muro.
- Ti apro, sto all'ultimo
piano, prendi l'ascensore. - disse
Yvonne.
- Va bene, arrivo.
La serratura della porta
diede uno scatto e si schiuse davanti a
me. Risalii l'androne, m'infilai
nell'ascensore, e raggiunsi l'ultimo
piano. Yvonne era ad aspettarmi sulla
porta dell'appartamento. Indossava una
gonna nera, aderente, e una camicetta
bianca con stampati dei fiorellini. I
capelli lisci, corti e ben ordinati, le
conferivano un aspetto giovanile. Fra le
braccia reggeva un pupo che teneva
premuto al petto. Benvenuto era intento
a tettare il latte materno dalla
mammella scoperta.
- Scusa se ti ricevo in
questo stato, ma è l'ora del pasto
pomeridiano e se Benvenuto non si sfama
a sufficienza piange.
- Non ti devi scusare sono
io l'intruso.
- Accomodati, dai.
- Ti ho portato un piccolo
dono, niente di particolare. Una pianta
sempreverde.
- Oh! Grazie, adoro le
piante ne ho piena la casa.
L'appartamento sembrava un
po' grande per una persona che ci viveva
da sola. Mi accompagnò nel salotto
reggendo il pupo fra le braccia.
Benvenuto, incurante della mia presenza,
seguitò a nutrirsi al capezzolo della
madre con avidità. Il salotto, arredato
in stile moderno, era ricco di piante
d'appartamento, proprio come aveva detto
lei quando le avevo mostrato la pianta;
perlomeno non avevo sbagliato quando
avevo scelto quel tipo di regalo. Due
divani di pelle, messi uno di fronte
all'altro, con un tavolo nel mezzo,
occupavano la parte centrale della
stanza. Un'ampia finestra a trifora dava
luce al locale e comunicava con un
balcone da cui si godeva una splendida
vista sulle colline circostanti.
- Ti spiace riporre la
pianta sul tavolo della cucina. E' la
porta alla tua sinistra. - suggerì.
Dopo avere riposto il vaso
sul ripiano di marmo, tornai nel salotto
e mi accomodai su uno dei divani
distante pochi passi dal balcone. Yvonne
prese posto accanto a me.
- Ti piace mio figlio?
- E' carino, sembra un
angioletto. Quanti mesi ha?
- Quattro! E' grande ormai.
Il neonato teneva gli occhi
socchiusi e succhiava con avidità il
latte dalla mammella. Mi trovai in
imbarazzo, infatti, non mi era mai
capitato di assistere alla scena di una
donna che allatta, ma col trascorrere
dei minuti superai l'iniziale imbarazzo e
non feci più caso ai seni di Yvonne.
- Ti piace la mia casa?
- Sì, è arredata in stile
moderno. Le stampe di foto di uomini e
donne nudi affisse alle pareti,
conferiscono all'ambiente un aspetto
particolare, non credi?
- Le ho collocate bene in
vista apposta, per incuriosire gli
ospiti. Molti si sentono infastiditi da
queste immagini, specie per quelle di
nudo maschile, ma la cosa mi diverte. Se
osservi con attenzione le foto noterai
che una delle donne ritratte sono io.
Mi alzai e andai a guardare
le stampe da vicino. Mi soffermai a
lungo d'innanzi a una foto in bianconero
che ritraeva una giovane donna nuda,
seminascosta dietro una tenda ricamata a
uncinetto.
- Bella, molto bella, sei
tu?
- Sì, è una immagine di
qualche anno fa. Avevo un compagno con
l'hobby della fotografia che prediligeva
il mio corpo per modella, ti piacciono
le foto?
- Molto e poi tu ci fai una
gran bella figura.
- Ma dai, non dire
sciocchezze.
- Dico davvero.
Benvenuto, sazio del latte
succhiato, aveva scostato le labbra dal
capezzolo e si era addormentato fra le
braccia di Yvonne. Guardandolo,
desiderai, seppure per un solo istante,
di esserne il padre.
- Ti spiace se ti lascio
solo per qualche secondo? Porto
Benvenuto nella culla e sono di ritorno.
- No, fa pure, nel
frattempo guardo nella raccolta dei CD
se c'è qualcosa di mio gusto.
Rimasi lì, a curiosare fra
i CD accatastati in maniera disordinata
accanto all'impianto Hi-fi. Ne presi uno
a caso e lo inserii nel lettore. Le note
di una musica melodica, dalle diverse
combinazioni sonore, in cui prevaleva il
suono del pianoforte, riempirono la
stanza di una nota di colore. Il pezzo
musicale aveva un armonia particolare,
latinoamericana, forse. Il brano mi era
noto, lo avevo sentito in altre
occasioni, ma non ricordavo in quali.
Probabilmente apparteneva alla colonna
sonora di qualche film.
- Ti piace, questa musica?
E' Tom Jobim uno dei migliori
compositori brasiliani.
- Sì, mi pareva di
riconoscerla. L'autore però non lo
ricordo affatto.
- E' scomparso di recente e
la sua musica è conosciuta in tutto il
mondo. Forse conoscerai le canzoni
Ragazza di Ipanema o Desafinado, chissà
quante volte le avrai ascoltate.
- Si, magari hai ragione,
ma non ricordo mai il nome degli autori,
né il titolo delle canzoni, mi piace
ascoltare la musica e basta. Questa è
davvero dolce.
Yvonne tornò a sedersi
accanto a me, stavolta non aveva la
camicetta sbottonata come l'avevo vista
poc'anzi mentre allattava.
- Cosa posso offrirti? Ho
preparato una torta di mele, ti va?
- Ma sì, vada per la
torta.
Yvonne andò in cucina e
tornò poco dopo stringendo nelle mani
un vassoio con alcuni tranci di torta.
L'appoggiò sul tavolino e si rivolse a
me.
- Prendo qualcosa da bere.
A proposito, ti va della malvasia dei
nostri colli oppure preferisci del
pinot?
- A quest'ora del giorno
preferirei bere del pinot, se non ti
spiace.
- No, anzi, ne bevo un
bicchiere volentieri anch'io.
Tornò poco dopo con due
calici e una bottiglia. Versò
il vino e mi offrì la torta.
- Spero che sia di tuo
gradimento. - disse.
- Al primo assaggio sembra
buona. - risposi, saziandomi con uno
spicchio di torta e qualche sorso di
vino bianco
Restammo a chiacchierare a
lungo. A lei piaceva ascoltarmi mentre
parlavo e io trovavo gradevole la sua
compagnia.
Eravamo così vicini che
potevo percepire l'alito del suo
respiro, posai la mano sulla sua guancia
e l'accarezzai. Lei accompagnò il
movimento della mano strusciandosi col
viso sulle mie dita, contraccambiando in
quel modo la manifesta simpatia che
avevo per lei. Ci scambiammo un bacio e
subito dopo un altro, ma l'insistente
piagnucolare di un neonato ci costrinse
a separarci dall'intrigante situazione.
- Scusami, ma devo andare
di là a vedere cosa succede.
- Fai pure, intanto
assaggio un altro trancio di torta.
Tornò poco dopo con in
braccio un neonato. Si mise a sedere sul
divano di fianco a me, sbottonò la
camicetta. Avvicinò le labbra del
neonato alla mammella e lasciò che si
attaccasse al capezzolo.
- Ha ancora fame? E' tosto
questo bimbo, gli dai ancora da
mangiare?
- Ma come non te ne sei
accorto? Questa è una femminuccia. E'
la bambina di mia figlia, il suo nome è
Desirée.
Al cospetto di quella
rivelazione rimasi di stucco. Se fino a
poco prima avevo avuto a che fare con un
neonato di nome Benvenuto,
inaspettatamente mi trovai al cospetto
di una femmina di nome Desiderata.
- La cosa potrà sembrarti
strana, ma non lo è. Io e mia figlia siamo diventate mamme a poca distanza di
tempo una dall'altra, tutto qui.
- E tu allatti anche il
suo?
- Quando è al lavoro lo
faccio io. Ho latte in abbondanza, a
volte sono persino costretta a spremere
i capezzoli per eliminare l'eccedenza,
meglio darlo a Desirée, giusto?
- Ma è sposata tua figlia?
- No, vive in casa con me.
- Ah.
Rimasi lì, sul divano, a
conversare con lei sino verso l'ora di
cena, poi decisi che era giunto il
momento andarmene.
- E' meglio che me ne torni
a casa, non credi.
- Non rimani a cena? Ho
preparato dell'arrosto di vitello.
- Dici?
- Sì, l'ho fatto apposta
per te.
- Allora non posso
rifiutare.
Sua figlia non tornò a
casa quella sera, telefonò poco prima
che ci accomodassimo a
tavola dicendo che sarebbe rientrata
tardi.
L'arrosto preparato da
Yvonne era squisito. Da tempo memorabile
non assaggiavo un piatto di carne così
tenera e saporita. Più tardi, dopo
avere gustato il caffè, ci accomodammo
in salotto.
La flebile luce di
un'abat-jour illuminava la stanza.
Yvonne prese posto sul divano accanto a
me. Mise il capo sulla mia spalla e
ascoltammo la musica di Tom Jobim
- Questo brano come
s'intitola?
- A Felicitade.
- Mi pare di conoscerlo. -
dissi.
- Mi sto affezionando alla
tua erre arrotata. - rispose
Quella sera non scopai
Yvonne, ma sapevo bene che sarei tornato
a farle visita. E anche lei lo sapeva.
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