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MISTER
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Il
triplice fischio del direttore di gara
mise fine all'incontro di calcio. Il
Mister della squadra del Bar Verdi si
alzò dalla panchina, luogo da cui aveva
guidato la compagine bianconera durante
la partita, e corse incontro ai propri
giocatori per evitare che venissero alle
mani con gli avversari.
Un'altra sconfitta! La
seconda consecutiva dopo una serie di
risultati positivi della durata di un
paio di mesi. Uno smacco per giocatori e
allenatore che avevano riposto molte
aspettative dall'incontro appena
concluso.
Uscire dal campo da gioco
sconfitti non piaceva a nessuno degli
atleti in campo, tanto meno a Giovanni,
il Mister, l'unico ad avere un trascorso
da giocatore professionista, che
detestava perdere più di chiunque altro
componente della squadra del Bar Verdi.
La partita era terminata con il risultato di 3-0 in
favore della squadra ospite. Un esito
imprevisto che però non comprometteva
la posizione in classifica della
compagine di Giovanni, tuttora in corsa
per occupare uno dei primi due posti
nella graduatoria finale del proprio
girone, cosa che avrebbe consentito al
Bar Verdi di accedere alle fasi finali
del campionato, e concorrere alla
conquista del titolo di Campione
Provinciale Amatori Arci-Uisp.
- Non fa niente, dai,
ragazzi! Ci rifaremo! - sbottò Giovanni
incrociando lo sguardo di Cigarini, il
capitano della squadra.
- Non possiamo prendere dei
goal come quelli che abbiamo preso oggi,
diamine! - protestò Cigarini
rivolgendosi al Mister.
- Lo so, lo so. Andrà
meglio la prossima volta, non te la
prendere in questo modo.
Allontanatosi da Cigarini
incrociò il volto di Miliaci, il
portiere della squadra. A lui i compagni
imputavano le colpe per la sconfitta.
L'uscita goffa con cui si era avventato
sui piedi di un avversario, appena
dentro l'area di rigore, aveva procurato
agli ospiti del Bar Luxor un penalty
sacrosanto. Il centravanti avversario
aveva messo a segno la rete calciando il
pallone all'incrocio dei pali, rendendo
inutile l'intervento di Miliaci che, pur
intuendo la direzione del pallone, si
era tuffato in quella direzione senza
riuscire a parare il tiro.
- Lo so, il rigore è tutta
colpa mia. Mi spiace, Mister, ho fatto
una uscita azzardata, ma non so cosa
farci.
- Non ti preoccupare. -
disse Giovanni posando una mano sulla
spalla di Miliaci, un marcantonio alto
più di un metro e ottanta con spalle
larghe degne di un rugbista. - Ci
rifaremo la prossima partita, ne sono
sicuro, vedrai. - lo rassicurò.
Quando tutti i calciatori
furono usciti dal campo da gioco
Giovanni fece ritorno alla panchina dove
aveva pilotato la squadra durante la
partita. Diede un calcio al secchio
dell'acqua che rovesciò il contenuto
sul terreno erboso. Afferrò nella mano
la borsa del pronto soccorso e
s'incamminò verso lo spogliatoio.
L'energia termica prodotta
dall'acqua che fuoriusciva dai bulbi
delle docce aveva prodotto una densa
nube di vapore acqueo all'interno dello
spogliatoio. Quando Giovanni entrò
nello stanzone alcuni giocatori avevano
già preso posto sotto la doccia, altri
stavano seduti sulle panche a discutere
sull'andamento della partita. La
maggioranza degli atleti si era liberato
della divisa e in attesa di
prendere posto sotto le docce.
Giovanni iniziò a raccogliere le magliette e i
pantaloncini da gara abbandonati sul
pavimento dello spogliatoio, poi
raccolse scarpe da gioco, parastinchi e
calzettoni.
Stringere nelle mani quegli
indumenti lerci di sudore, percepirne da
vicino l'odore acre che i tessuti
sprigionavano lo eccitava.
Raccattare gli indumenti,
premurandosi di ficcarli nelle borse,
era un altro dei suoi compiti. Si
muoveva fra i giocatori, sfiorandoli,
annusando le esalazioni di sudore che
sprigionavano i corpi nudi, scambiando
con ciascuno delle impressioni
sull'andamento della partita.
- Mister, così non
possiamo più andare avanti, prendiamo
troppi goal. Occorre registrare la
difesa. - disse Ulderico.
- Tu pensa a farne,
piuttosto. - ribatté Giovanni
raccattando da terra l'ennesimo paio di
calzettoni.
- I giocatori delle altre
squadre corrono il doppio di noi. Ecco
qual è il vero problema. - sentenziò
Roberto, seduto su una panca
dall'altra parte dello spogliatoio.
- Sì, va be', avete
ragione tutti quanti, ma sbrigatevi a
fare la doccia. - disse Giovanni mentre
si avvicinava al compartimento delle
docce.
Le pedane di legno, situate
sul pavimento delle docce, cinque in
tutto, su cui precipitava l'acqua calda
che fuoriusciva dai bulbi forati,
svolgevano una funzione antiscivolo
permettendo agli atleti di lavarsi senza
perdere l'equilibrio.
I corpi nudi degli atleti
erano mischiati a nuvole di vapore. Le
confezioni di docciaschiuma passavano da
una mano all'altra insieme a quelle
dello shampoo e al balsamo per i
capelli.
Giovanni fissò lo sguardo
su Angelo, uno di quegli atleti
funamboli, difficilmente controllabili
dalle difese avversarie, capace di
fulminanti ripartenze e abile nel
segnare goal a grappoli.
Il ragazzo, non troppo
alto, tozzo, tutto nervi, possedeva un
cazzo dalle dimensioni ingombranti.
L'arnese adescatore gli penzolava come
un salame fra le gambe, oggetto di
battute salaci dei compagni di squadra
che non mancavano di magnificarne le
proporzioni, inneggiando alla
ragazza che se lo sarebbe succhiato.
Stare a guardare i corpi
nudi dei giocatori risvegliò in
Giovanni la fantasia mai sopita di
scopare un maschio. Un capriccio, il
suo, mai portato a compimento, anche se
da ragazzo qualche succhiata al cazzo se
l'era fatta fare da qualche compagno di
gioco, ma dopo di allora non aveva più
avuto rapporti con uomini.
- Lavatevi in fretta, dai,
ragazzi! - disse rivolto a chi stava
intrattenendosi troppo a lungo sotto la
doccia. - Altrimenti ai compagni che
prenderanno posto sotto le docce dopo di
voi gli toccherà lavarsi con l'acqua
fredda. Ormai dovreste saperlo che il
serbatoio della caldaia contiene solo
duecento litri d'acqua.
- Mister, non si preoccupi,
ci sarà acqua calda per tutti. - disse
Luciano impegnato nell'insaponarsi la
cappella e le palle con il docciaschiuma.
Il rumore dell'acqua che
usciva dai bulbi forati delle docce
copriva lo scoppiettante vociare degli
atleti. Giovanni seguitò a spostarsi da
un lato all'altro dello spogliatoio con
il cazzo duro, bagnato per
l'eccitazione, raccogliendo i capi da
gioco sparsi sul pavimento antistante il
settore delle docce.
- Avete finito lì? Su,
dai, lasciate posto ai vostri compagni.
Le docce furono occupate
dai restanti calciatori. Ma il numero di
persone che andarono a occupare le
pedane di legno era di gran lunga
superiore ai bulbi delle docce. I corpi
nudi si trovarono a essere ammassati uno
contro l'altro sfiorandosi
ripetutamente. I giocatori si
alternarono sotto i getti d'acqua dando
forma a un balletto di materia umana
sagomata da glutei sporgenti, spalle
larghe, e cappelle rese lucenti dalle
bollicine di sapone.
Giovanni abbandonò
l'ambiente delle docce. Fece ritorno
nell'altra stanza dove alcuni calciatori
avevano già indossato gli abiti civili.
I più avevano ancora l'accappatoio di
spugna addosso e aperto sul davanti. Gli
fece uno strano effetto rivolgere lo
sguardo ai cazzi che spuntavano dalle
maglie colorate degli accappatoi.
- La prossima partita dove
la giochiamo, Mister? - disse una voce
che proveniva dal fondo, ma che Giovanni
non riuscì a distinguere a chi
apparteneva.
- Domenica siamo a Zibello.
Mi raccomando, ragazzi, martedì dovete
essere tutti presenti all'allenamento.
Non voglio sentire delle scuse, non
dobbiamo ripetere la figuraccia che
abbiamo fatto oggi. Va bene?
- Oggi giocavamo contro la
prima in classifica, ci può stare di
perdere, no? - disse Cigarini.
- Scopate meno e non
entrate in campo con le gambe molli o
peggio ancora tremolanti, specie se vi
è capitato di scopare con la vostra
ragazza qualche ora prima della partita.
I giocatori risero tutti.
Giovanni raccolse dal pavimento le due
borse che contenevano gli indumenti da
portare il lunedì in lavanderia. Con la
mano libera afferrò la cassetta del
pronto soccorso e si avviò verso
l'uscita dello spogliatoio. Fuori era già
buio. Mise i bagagli nella macchina, poi
fece ritorno nello spogliatoio.
- Ho dimenticato i palloni?
Chi li ha visti?
- Sono qui, Mister.
I due palloni avevano
trovato rifugio sotto la panca dove
stava seduto uno dei calciatori.
Giovanni si avvicinò alla panca. Si
chinò in avanti e si accucciò fra le
cosce aperte di Angelo da cui penzolava
il cazzo elefantiaco. In quel momento
avrebbe voluto sequestrare quella
cappella e stringerla fra le labbra, ma
non lo fece. Afferrò i palloni, salutò
i giocatori per l'ennesima volta, e uscì
dallo spogliatoio rimandando il tutto a
un quanto improbabile prossimo futuro.
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